NUORO – “D’altra parte anche le risultanze emerse dalle nostre precedenti analisi hanno confermato l’esistenza in Sardegna di una criminalità pastorale permanente (che rappresenta il background su cui si innestano le manifestazioni più preoccupanti quali il sequestro di persona e il banditismo) e ripropongono inquietanti interrogativi sulla sua genesi, sui rapporti tra criminalità rurale permanente e cicli di banditismo, sulla vischiosità che il fenomeno offre“. Questo è uno stralcio tratto da un’inchiesta parlamentare degli anni ‘6o nella quale si analizza il fenomeno criminale in Sardegna, chiarendo come la nostra Isola di tradizioni millenarie, si sia trovata a fare i conti con un’eredità criminale complessa, radicata in un passato di faide e banditismo, e ora travolta dalla marea del narcotraffico.
Il CONVEGNO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI – Il convegno, organizzato dall’Ordine degli Avvocati di Nuoro, ha gettato luce su questa intricata realtà analizzando l’evoluzione della malavita sarda e le sfide che le forze dell’ordine si trovano ad affrontare oggi. Al tavolo del forum, tenutosi alla Biblioteca Satta venerdì scorso, in veste di moderatrice nonché organizzatrice l’avvocato Sabrina Cadinu, la procuratrice Patrizia Castaldini, l’ex prefetto di Sassari e Verona Salvatore Mulas, il docente Gianni Fresu dell’Università degli studi di Cagliari e i principali rappresentanti delle forze dell’ordine del territorio.

Il Convegno sull’evoluzione della criminalità organizzata (foto S. Meloni)
DAI SEQUESTRI DI PERSONA ALLA DROGA – La criminalità sarda, da sempre percepita “da fuori” come un fenomeno endemico, affonda le sue radici in una società agropastorale e si caratterizza per l’isolamento e il risentimento verso le istituzioni. Come evidenziato da un rapporto parlamentare degli anni ’60, e confermato ancora prima dalle analisi dell’epoca del governo Crispi (1887-1889), un tessuto di criminalità pastorale permanente ha rappresentato il terreno fertile per manifestazioni più violente come i sequestri di persona e il banditismo. Oggi, tuttavia, il panorama criminale è cambiato. Abigeato e sequestri, un tempo piaga della Barbagia, hanno lasciato il posto al traffico di stupefacenti, in particolare marijuana e cocaina, variazione che ha spinto la malavita locale a stringere alleanze internazionali. Un’evoluzione che richiede strumenti investigativi all’avanguardia, capaci di contrastare un fenomeno che non esclude infiltrazioni mafiose e camorristiche. Argomento spiegato in modo impeccabile da Salvatore Mulas.
GLI ANNI CALDI IN SARDEGNA – “Nel 1984, il trasferimento di Salvatore Mulas alla questura di Nuoro segnò l’inizio di una fase cruciale nella lotta alla criminalità sarda. Assumendo la direzione della DIGOS, Mulas ottenne risultati significativi nel contrasto ai gruppi terroristici isolani. Nel 1987, la sua nomina a dirigente della Squadra Mobile lo pose al centro di un contesto operativo estremamente delicato, segnato dai sequestri di persona e dalle faide che insanguinavano la Barbagia. La sua azione di contrasto, condotta con determinazione e profonda conoscenza del territorio, portò alla cattura di latitanti di spicco e allo smantellamento di sodalizi criminali complessi, valendogli la promozione per merito straordinario a primo dirigente della polizia di Stato.
Nel suo racconto, durante il convegno di venerdì scorso, Mulas ha sottolineato l’importanza strategica dell’impiego di agenti autoctoni (Nucleo Abigeato e Squadre Catturandi), esperti conoscitori delle campagne e della cultura sarda. Questa intuizione lungimirante permise di instaurare un dialogo proficuo con le comunità locali, superando le barriere della diffidenza e dell’omertà, e si rivelò decisiva per arginare fenomeni come i sequestri di persona, soprattutto nelle zone interne. Mulas ha inoltre affrontato il tema degli assalti ai portavalori, una delle principali fonti di reddito della criminalità odierna. Ha evidenziato, poi, come i sardi, insieme ai gruppi nomadi, siano considerati tra i più abili nella costruzione dei mezzi utilizzati per tali assalti. Tuttavia, ha anche sottolineato come il banditismo tradizionale sia stato ormai soppiantato da attività più redditizie e meno rischiose, come lo spaccio di stupefacenti e le rapine. In sintesi, il racconto di Mulas ha offerto una testimonianza preziosa sull’evoluzione della criminalità in Sardegna e sulle strategie messe in atto per contrastarla, evidenziando l’importanza della conoscenza del territorio e della collaborazione con le comunità locali.
LA VENDETTA MAI DIMENTICATA – Il professor Fresu ha offerto un’analisi approfondita delle dinamiche che alimentano il complesso fenomeno delle faide, oggi in declino, ma la cui eredità di vendetta persiste. Come sottolineato dalla procuratrice Castaldini, nelle zone interne, rancori sopiti possono riemergere, motivando delitti anche a distanza di decenni. Fresu ha evidenziato come le faide, nella cultura sarda, rappresentino una forma di autogiustizia, radicata in un contesto storico di marginalizzazione. Fin dalle “chiudende”, le comunità sarde hanno sperimentato l’assenza di uno Stato garante del diritto, percependo l’intervento delle istituzioni come limitato alla repressione, piuttosto che alla comprensione delle cause profonde del crimine.