«Volevamo “rappresentare” i cittadini che lottano contro la speculazione energetica ma i nostri corpi, come la Pratobello24, sono rimasti invisibili». Cinquant’anni dopo Pratobello, la storia si ripete. Ancora una volta, le donne sarde si trovano a difendere il loro territorio, ma stavolta, le istituzioni sembrano aver dimenticato le lezioni del passato. Era il 9 giugno 1969 quando le donne di Orgosolo accompagnarono i propri mariti e fratelli pastori in una protesta non violenta e pacifica per impedire che i loro pascoli si trasformassero in un poligono fisso per esercitazioni militari.
Il 13 novembre 2024, esattamente 55 anni dopo in una scena che ha scosso i palazzi del potere, le donne di “Pratobello24”, in rappresentanza di oltre 211mila persone, hanno occupato i banchi del Consiglio Regionale per protestare contro l’indifferenza della Giunta regionale sulla questione della petizione popolare e più in generale sullo sfruttamento delle risorse dell’isola.
Con coraggio e determinazione, le donne hanno voluto far sentire la loro voce, quella di una Sardegna che si sente tradita e abbandonata. La loro presenza è stata un atto di civile disobbedienza, un grido d’allarme per un futuro che rischia di essere compromesso.
“Ci siamo sentiti invisibili, come la nostra terra che vogliono trasformare in una miniera a cielo aperto”, hanno dichiarato in un comunicato stampa. “La nostra presenza in Aula era un segno tangibile della nostra preoccupazione per il futuro della Sardegna e delle nuove generazioni”.
Purtroppo, le aspettative sono state deluse. Nonostante la loro presenza imponente, la maggioranza dei consiglieri regionali ha scelto di ignorarle, preferendo un assordante silenzio. Solo pochi, tra cui il Presidente Comandini e il consigliere Di Nolfo, hanno avuto la sensibilità di riconoscere la loro presenza.
“Questo silenzio è inaccettabile”, hanno commentato. “È un chiaro segnale di disprezzo per le istanze dei cittadini. Ma non ci arrenderemo, continueremo a lottare fino a quando le nostre voci non saranno ascoltate”.