La biblioteca di Sarule è stata sabato la vetrina del libro di Walter Veltroni, “La Condanna” sull’omicidio di Donato Carretta, direttore del carcere romano di Regina COeli. Una vicenda del 1944, tragica anche per il fatto che Carretta fu ucciso dalla folla in tumulto, dopo averlo scambiato per il questore di Roma, Caruso. Quest’ultimo messo all’indice come delatore a servizio del regime fascista. A Sarule Veltroni è stato ospite dell’amministrazione civica, rappresentata nell’occasione dal sindaco Maurizio Sirca e dall’assessore della Cultura Alessio Cheri. Mentre a dialogare con l’autore è stato Gian Paolo Cassitta, già dirigente del ministero della Giustizia.
La presentazione ha fatto parte del circuito “Entula”, dell’associazione “Liberos”. Molta la curiosità per l’incontro con Veltroni, esponente di rilievo della sinistra italiana, con alle spalle la vice-presidenza del consiglio dei ministri nel governo Prodi e la titolarità del dicastero della cultura. Prima di essere eletto per due mandati sindaco di Roma. Senza dimenticare che nel 2007 è stato tra i fondatori e primo segretario del Pd.
Il racconto del suo libro (introdotto da Cassitta) alla fine ha preso il sopravvento anche sullo stesso nome dell’autore, tra il numeroso pubblico. Ritrovatosi con Veltroni nell’obiettivo di fondo di raccontare un’ingiustizia (in questo caso tutta italiana) di cui è stata fautrice la folla, partita con l’idea di vendicare le vittime dell’oppressione nazi-fascista, ancora pericolosa nonostante la caduta del regime, nel ’43. Perché freschi erano i rastrellamenti di via Aosta (di cui sarà vittima anche il nonno di Veltroni, un diplomatico slavo) e l’eccidio delle fosse Ardeatine. «La fine di Carretta è dentro questo sentimento di rivalsa. La folla però è palese agisce d’impulso e con animosità, e non ha l’equilibrio del popolo. Tanto da non vedere chiaro e ancora peggio da non agire in maniera sbagliata. Sino al punto di scagliarsi e uccidere un uomo innocente». Veltroni, storico impegnato, nell’invenzione letteraria fa raccontare la vicenda a un giovane giornalista, Giovanni, incaricato dal suo direttore di ricostruire proprio l’omicidio di Carretta, che negli anni ’30 aveva iniziato la carriera nel carcere dell’Asinara. Non è mai stato fascista e nel momento della sua fine è apertamente contro il regime, tanto da favorire la fuga da Regina Coeli di Pertini e Sargat. Ma quel giorno di settembre del 1944, mentre sta per testimoniare al processo contro Caruso, ritenuto autore di una serie di delazioni, la folla lo scambia proprio per quest’ultimo. Lo tortura, lo scaraventa sui binari del tram, lo fa annegare nel Tevere e poi lo impicca a testa in giù all’esterno del carcere, che dirigeva. Dove poco dopo lo vedrà, martoriato, la moglie. La storia si commenta da sé. Tanto che l’autore, si limita a dire che, «anche di fronte ai delitti più efferati e ai loro autori, la giustizia impone comunque un processo, mai la condanna sommaria». “La Condanna”, di Veltroni, è invece una storia di sangue, con una vittima innocente, quasi a voler dire che la guerra oscura le menti e fabbrica molte ingiustizie.
Francesco Pirisi