30 anni per l’omicidio della fidanzata: Fricano esce dal carcere perché obeso

Deve scontare una condanna a 30 anni di reclusione per l’omicidio della fidanzata Erika Preti (APPROFONDISCI) ma ne passerà almeno uno fuori dal carcere, in regime di detenzione domiciliare, perché è un ‘grande obeso’ e deve ricevere l’assistenza necessaria.

La decisione è del tribunale di sorveglianza di Torino e riguarda Dimitri Fricano, 36 anni, di Biella, l’uomo che nell’estate del 2017, a Sassari, trafisse con 57 coltellate Erika Preti nel corso di una vacanza a San Teodoro (Sassari). Tre giorni fa, l’uomo ha lasciato il penitenziario torinese delle Vallette per andarsi a stabilire in una piccola frazione del Biellese, da dove non si potrà allontanare se non per andare dai medici e, in ogni caso, senza mai lasciare la provincia.

Al momento dell’arresto Fricano era un marcantonio di 120 kg. Oggi è una specie di gigante di 200 kg che, per via del peso, non riesce a muoversi se non con le stampelle o la carrozzina, e sempre con dolore. L’ordinanza del tribunale è un elenco lungo e dettagliato dei suoi problemi di salute non solo fisici. A cominciare dalla meningite che lo colpì nel 1989 per passare alla sindrome ansioso depressiva da bulimia, al disturbo di personalità, alle apnee notturne.

Un soggetto a “forte rischio cardiovascolare” tanto per la sua condizione di “grande obeso” quanto per il vizio del fumo: nei report si legge che arriva a cento sigarette al giorno. In carcere, secondo i giudici, non può restare. Almeno per ora. “Non è in grado – scrivono – di assolvere autonomamente le proprie necessità quotidiane e ha bisogno di un’assistenza che non è possibile dispensare nell’istituto”. Una dieta adatta, per esempio.

Nel corso delle indagini si disse che Fricano scatenò la sua furia omicida su Erika dopo un banalissimo litigio. L’uomo sostenne di essere innocente e si decise a confessare solo un mese dopo, quando ormai tutti gli indizi stavano convergendo contro di lui. Nel 2020 la Corte di appello di Cagliari gli inflisse 30 anni. Una pena che lui stesso, scrivono i giudici di sorveglianza, riconosce come “equa”. Però afferma di non ricordare nulla del delitto. Quella con Erika, a suo dire, era una relazione “appagante”, e non riesce a spiegare perché ha ucciso la donna. “Con il tempo – è il parere degli psicologi che lo seguono – si è abituato ad attribuire la causa ai problemi mentali di cui soffre”. E quando ne parla, manifesta “un grande senso di colpa” nei confronti di Erika, della sua famiglia e pure dei propri genitori “per le critiche che hanno ricevuto”.

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Sonia