Meraviglie enogastronomiche della Sardegna: cozze e ostriche di Olbia

di Sonia Meloni

IL GUSTO CHE IDENTIFICA OLBIA – «Un prodotto che per gusto è consistenza è capace di stare sul palato». Così Raffaele Bigi, titolare di una delle aziende storiche di mitilicoltura di Olbia e presidente del Consorzio molluschicoltori definisce quello che per antonomasia é per eccellenza il gusto del principale centro economico gallurese e del Nord Sardegna. Con gli spaghetti, crude, fritte o gratinate, con i fagioli o con le patate, le cozze possono essere cucinate in tanti modi ma quelle di Olbia sono uniche per sapore grazie all’ambiente nel quale vengono coltivate ossia il golfo di Olbia.

Olbia, pescatori all’allevamento di cozze e ostriche (foto S.Novellu)

IL GOLFO D OLBIA – Un golfo chiuso con un imboccatura di 200 metri che a destra comunica con la foce del fiume Padrongianus, determinante per l’apporto delle acque dolci. All’interno di questa insenatura avviene la coltivazione di questi preziosi mitili oltre che delle ostriche. In questo tratto di mare, il Consorzio di Olbia ha 156 ettari in concessione più altri venti ettari fuori dal golfo. Costituito complessivamente da 16 cooperative, quattro delle quali hanno in concessione gli stabilimenti che si affacciano nel suddetto Golfo. Lo scambio continuo tra acque dolci e salate crea l’habitat ideale per la riproduzione e lo sviluppo della cozza e degli altri molluschi: ostriche, arselle, tartufo di mare, cannolicchio e boccone maschio.

LE FAMIGLIE CHE PORTARONO I PRIMI IMPIANTI DI PRODUZIONE – 1918- 2023. La produzione di questo mollusco a Olbia ha oltre 100 anni di storia. I molluschi rappresentano un alimento per l’uomo sin dal Paleolitico, grazie anche alla facilità di cattura. L’ostrica è stata citata dai più grandi poeti e scrittori dell’antichità, Omero, Virgilio, Petronio, Marziale, mentre della cozza rimangono notizie vaghe in Plinio il Vecchio. Il consumo di tante specie di molluschi è ancestrale, come testimoniato da resti trovati nei depositi lasciati nelle caverne dall’uomo preistorico. Le tracce più antiche in Sardegna farebbero pensare a un’attività di raccolta che risalga al IV millennio a. C. dimostrando l’utilizzo dei molluschi come alimento dal Neolitico all’Età dei nuraghi. Nella Gallura la più importante traccia di questa attività si è avuta nella Grotta della “Mandria”, nell’isola di Tavolara, che chiude a est il Golfo di Olbia e ne è parte integrante. Per la produzione delle cozze bisogna arrivare al 1918, quando i due imprenditori e fratelli, i Godani di La Spezia, installarono i primi impianti di produzione su palo a Olbia (allora e sino al 1939 Terranova Pausania). Qualche tempo prima, infatti, un loro conoscente, spezzino e anch’egli mitilicoltore, in arrivo all’Isola Bianca notò che le banchine e gli scogli erano notevolmente ricoperti di novellame. Intuì quindi che l’habitat poteva essere adatto all’allevamento delle cozze. Successivamente riportò quanto osservato dai due fratelli Godani, già titolari di una azienda di mitilicoltura, che effettuarono un sopralluogo e immediatamente si resero conto che nel golfo di Olbia poteva essere ottenuta una ottima produzione di cozze. I fratelli Godani installarono dunque i primi vivai nell’area compresa tra l’isola del Cavallo e gli scogli di Mezzocammino, e a Punta Is Taulas (Su Arrasolu). L’attività era svolta direttamente da loro con l’ausilio di manovalanza locale. La prima produzione fu venduta in gran parte in continente: i pergolati venivano caricati sfusi in coperta sul postale per Civitavecchia e da qui in treno portati a La Spezia e nuovamente immersi in mare.

In Sardegna si cominciò a far conoscere le cozze, allora sconosciute, nei mercati di Cagliari e Sassari, mediante invio diretto al consumo in sacchi di iuta, attraverso la ferrovia. Dopo circa due anni di attività, alla fine del 1919, i fratelli Godani furono costretti a abbandonare la loro attività a Olbia in quanto contrassero la malaria, all’epoca vero e proprio flagello. Gli impianti furono pertanto abbandonati e caddero in rovina.

Chi risollevò le sorti della produzione fu Raffaele Bigi (nonno dell’attuale presidente del Consorzio). Nato a Olbia nel 1899, partito con la Brigata Sassari per la Grande Guerra nel 1917, nel 1918 non avendo alcuna prospettiva di lavoro in Sardegna, si trattenne in Venezia Giulia trovando lavoro come apprendista mitilicoltore e ostricoltore a Trieste, a Muggia, dove gli impianti furono ripristinati per iniziativa di uno spezino. Qui rimase sino alla fine del 1920. Rientrato a Olbia apprese che i fratelli Godani avevano installato i primi vivai per la mitilicoltura ed ebbe l’idea di proseguire in questa attività. Non avendo mezzi finanziari per acquistare le attrezzature necessarie, si rivolse a Giuseppe Carlini, noto Peppinu Cioàiu, commerciante di vari articoli tra cui chiodi, da cui il soprannome. Carlini chiese ed ottenne la concessione demaniale dell’area compresa tra l’Isola Manna e l’Isola del Cavallo ed inizio l’attività insieme al giovane Raffaele Bigi.

La pesca delle cozze a Olbia

Era il 15 dicembre 1920. Vennero acquistati i pali di castagno a Tonara e Aritzo e le corde vegetali in Campania, a Frattamaggiore. Il novellame era abbondantemente raccolto in loco. Le cozze prodotte venivano vendute con grande difficoltà in Sardegna. Era allora usuale, ma anche necessario, accompagnare la vendita con la degustazione delle cozze al vapore. «Mio nonno – racconta infatti l’attuale presidente – vendeva le cozze in via Roma a Cagliari in questo modo e inizialmente c’era tanta diffidenza solo per come si aprivano, poi con il tempo le persone si abituarono». Proseguendo nel racconto si giunge al 1922 quando arrivarono ad Olbia alcune famiglie di tarantini: De Michele, Tancredi, Mignogna, Di Todaro, Calabrese. Questi svolgevano già con grande competenza l’attività di mitilicoltura a Taranto ed appresero casualmente delle qualità del Golfo di Olbia. Proposero a Carlini e a Bigi di intraprendere l’attività in comune. Ricevendo però una risposta negativa, chiesero in concessione l’area compresa tra l’isola del Cavallo e gli scogli di Mezzocammino. Dopo qualche tempo però Carlini, pur mantenendo la titolarità in proprio della concessione per altri 50 anni, entrò in società con i tarantini nella “De Michele & C.”. Raffaele Bigi svolse in quel periodo l’incarico di fiduciario degli stessi, in quanto già esperto commerciante, occupandosi della vendita delle cozze prodotte.

La pesca delle cozze a Olbia

L’ALLEVAMENTO – 40mila quintali destinati al 50% al mercato locale e 50% al mercato nazionale. Questi i numeri di un prodotto come quello della cozza di Olbia non solo buono da mangiare ma significativo per tutto l’indotto che crea. I clienti finali sono i grossisti che vendono le cozze assieme al pescato.  Un allevamento, come spiega il presidente del Consorzio Raffaele Bigi, che è sempre dinamico e non subisce arresti nella produzione. Da novembre a marzo c’è la riproduzione e lo sviluppo della cozza. La fecondazione avviene in mare poi le larve cercano un punto dove appoggiarsi e a questo punto si attaccano a grappolo (tecnicamente cioppa) lungo la fune sostenuta delle boe allestite appositamente all’interno del golfo. Quando le cozze raggiungono la dimensione di 2 centimetri solitamente in nove mesi, il grappolo viene raccolto per subire un primo confezionamento.

I mitilicoltori raccolgono i grappoli e attraverso lo stesso procedimento utilizzato per fare la cosiddetta “salsiccia“, vengono inseriti all’interno di una rete a maglie strette fino a formare una fune (tecnicamente pergolato) di due metri che viene rimessa in mare. Questa tecnica del confezionamento che può avvenire sia in terra che in mare, si ripete fino a quando il pergolato raggiunge un peso di 30 e 40 chili, che sta a significare che la cozza ha raggiunto la giusta dimensione: in genere sopra i cinque centimetri per guscio e carne. A questo punto si ha la lavorazione finale e il prodotto è pronto per essere immesso definitivamente nel mercato. Niente va sprecato: le cozze che infatti non raggiungono la giusta dimensione vengono rimesse in mare per finire il processo evolutivo, mentre quelle più grandi ai cinque centimetri vengono messe negli impianti di depurazione per circa 24 ore in modo tale che anch’esse siano pronte per essere confezionate.

Le Ostriche – Allevata nel Golfo sin dagli anni ’20 del secolo scorso, dopo varie interruzioni, da un decennio l’Ostrica (crassostrea gigas) è nuovamente disponibile con le sue caratteristiche uniche di sapore e gusto. La lavorazione in lanterna ne consente una varia scelta per pezzatura, con quella ottimale di 12 pz/kg.. L’allevamento è in sospensione e ripartito per filari. Il processo di lavorazione dell’ostrica è più complesso rispetto a quello delle cozze. Una volta inserite all’interno di sacche dette “poches” sono depositate dentro le lanterne, per consentire lo sviluppo di una conformazione regolare del mollusco che non deve superare un centimetro, l’ostrica non può stare durante tutto il processo di sviluppo immersa in acqua quindi le sacche vanno rovesciate in modo tale che ci sia un contatto anche con l’aria. Questo processo ovviamente anche in Sardegna ha subito degli importanti segnali di modernizzazione che hanno consentito uno sviluppo meccanico in quelli che una volta erano dei procedimenti manuali.

Contenuto realizzato in collaborazione con la Regione Sardegna – Assessorato al Turismo, Artigianato e Commercio

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