Non più primi in economia circolare com’eravamo fino all’anno scorso, maglia nera nella transizione verso un’energia pulita libera dai combustibili fossili e amica del clima. É la sintesi, decisamente negativa, del cammino “green” dell’Italia fornita dal quarto Rapporto Circonomia, il Festival dell’economia circolare e della transizione ecologica promosso in collaborazione con Legambiente, Kyoto Club, Fondazione Symbola. Il Rapporto è stato presentato oggi a Roma, presso la Sala “Gianfranco Imperatori” dell’Associazione Civita, alla presenza del presidente del Consorzio nazionale degli oli minerali usati Riccardo Piunti, della vicecapogruppo del Pd alla Camera Simona Bonafé, del presidente di Legambiente Stefano Ciafani, e del padrone di casa, Gianni Letta, presidente dell’Associazione Civita. Nel presentare il rapporto, il direttore scientifico del Festival Roberto Della Seta ha voluto rimarcare come questo certifichi che “l’Italia, fino all’anno scorso primatista in Europa in economia circolare, cioè nella capacità di utilizzare nel modo più efficiente le risorse naturali, non è più in testa alla classifica, sorpassata dall’Olanda”. Ma più del “sorpasso” olandese, a colpire è “il brusco rallentamento del cammino green italiano negli ultimi anni. In tutti gli indicatori tranne uno (tasso di riciclo dei rifiuti), dal 2018 in poi corriamo di meno della media dei Paesi Ue. Talvolta – ha aggiunto – il peggioramento non è solo relativo ma assoluto: consumiamo più materia e produciamo più rifiuti sia per abitante che per unità di Pil (mentre i dati medi europei segnano una riduzione), produciamo più emissioni climalteranti pro-capite (dato medio europeo: -7 peggio dell’Europa nel consumo di energia fossile (noi stabili, in Europa -5 per cento) e nella crescita delle energie rinnovabili: +7 per cento sul totale dei consumi contro il +14 per cento dell’Europa, +2,2 per cento sulla produzione elettrica contro il +15,2 per cento europeo”.
Malgrado questa vistosa perdita di velocità nella transizione ecologica – rileva ancora il rapporto – l’Italia rimane tra i Paesi europei più avanti nel passaggio a un’economia circolare: prima per il tasso di riciclo sul totale dei rifiuti prodotti, con prestazioni brillanti in tutti gli altri principali indicatori di “circolarità” dal consumo di materia per unità di Pil al tasso di utilizzo di materie prime seconde, cioè provenienti da riciclo. In questo quadro di generale eccellenza brillano particolarmente le performance di molti consorzi di filiera che gestiscono la raccolta e il riciclo di specifiche tipologie di rifiuto: su tutti il Conou, il Consorzio nazionale degli oli minerali usati, che raccoglie pressoché la totalità dell’olio usato raccoglibile e ne rigenera in il 98% in nuove basi lubrificanti (in Europa il tasso medio di rigenerazione è inferiore ai due terzi). “Come Conou siamo davvero orgogliosi di tenere alta la bandiera dell’Italia in Europa nel settore dell’economia circolare – ha sottolineato il presidente Piunti – ancor di più alla luce di quanto emerge dall’ultimo Rapporto di Circonomia. Il nostro Consorzio, con la sua filiera di 60 aziende raccoglitrici di olio minerale usato e due di rigenerazione dislocate su tutto il territorio nazionale, contribuisce alla realizzazione dell’economia circolare come modello di sviluppo economico, trasformando un rifiuto in una risorsa”. Raccogliere, differenziare, riciclare richiede un modello organizzativo di cui i Consorzi Italiani – e il Conou per primo da 40 anni – sono per il presidente Piunti, un “esempio di successo, anche perché la nostra è un’attività economica indirizzata all’ambiente, senza fini di lucro. La raccolta degli oli minerali usati e il tasso di rigenerazione di oltre il 98 per cento fanno del ‘sistema Conou’ l’eccellenza dell’economia circolare in Europa, dove mediamente si rigenera appena il 61 per cento dell’olio usato raccolto e una grande parte di esso viene bruciata. Questo modello porta con sé indubbi benefici sia ambientali che economici. Nel solo 2022, per esempio, le nostre attività hanno evitato l’immissione in atmosfera di 64 mila tonnellate di CO2 e sono stati circa 7,5 milioni i giga joule di combustibili fossili consumati in meno rispetto al modello di economia lineare, con un risparmio di circa 130 milioni di euro sulla bolletta petrolifera per importazioni di greggio evitate”.
Ma la crisi del nostro cammino “green” restituita dai dati di questo quarto Rapporto Circonomia è profonda. Crisi profonda e strutturale soprattutto nel campo della transizione energetica dalle fonti fossili – carbone, petrolio, gas – alle nuove rinnovabili – sole e vento -, decisiva per fronteggiare con efficacia la crisi climatica in atto che vede, peraltro, proprio il nostro Paese come bersaglio privilegiato. L’Italia in effetti è uno degli epicentri della crisi climatica globale, con una temperatura media cresciuta di quasi 3 °C rispetto al periodo pre-industriale – aumento quasi triplo rispetto al dato globale – e che nel 2022 ha superato la soglia dei 14 °C. Secondo il rapporto, infatti, siamo nell’”occhio del ciclone” di una tempesta climatica che a differenza di tutti fenomeni di climate change che l’hanno preceduta nella storia della terra e dell’uomo è originata da cause antropiche: l’aumento dell’effetto serra prodotto dalle emissioni di anidride carbonica e altri gas climalteranti generate a loro volta dall’uso di combustibili fossili e dalla deforestazione. Di questa “tempesta” noi umani non siamo soltanto artefici ma anche tra le principali vittime: il riscaldamento globale è un nemico, prima ancora che dell’ambiente, dello sviluppo socioeconomico dell’umanità e degli stessi equilibri geopolitici. Distrugge ricchezza, rende invivibili luoghi fino a oggi vivibilissimi alimentando flussi migratori sempre più intensi.
Venendo al dettaglio dei numeri, l’Italia rispetto al Rapporto 2022 perde a vantaggio dell’Olanda il primo posto nel ranking europeo quanto a circolarità ed efficienza d’uso delle risorse, costruito su 17 diversi indicatori che misurano l’impatto ambientale diretto – considerato come impatto pro-capite – delle attività economiche e civili su ambiente e clima (5 indicatori), l’efficienza d’uso delle risorse (6 indicatori), la capacità di risposta ai problemi ambientali (6 indicatori). Inoltre, nel confronto con il ranking del 2022, scendono di molte posizioni la Francia, il Belgio e l’Ungheria, mentre Portogallo e Svezia fanno segnare significativi miglioramenti. Per quel che riguarda i risultati nei 17 indicatori, questi vedono l’Italia al primo posto solo in un caso: tasso di riciclo sul totale dei rifiuti urbani e speciali prodotti, indicatore nel quale doppiamo la media dell’Unione europea – oltre l’80% contro meno del 40% – e sopravanziamo di più lunghezze i più grandi Paesi europei. Questo primato italiano non si distribuisce in modo omogeneo tra le macroregioni: vede il Nord sensibilmente più avanti del resto del Paese, e “assorbe” quanto meno nei numeri la condizione critica di grandi città – a cominciare da Roma – e di interi territori soprattutto nel Sud dove la gestione dei rifiuti urbani è in uno stato di profonda e cronica inefficienza. Leggendo il rapporto si evince poi che facendo eccezione che per il tasso di riciclo dei rifiuti, in tutti gli altri indicatori dal 2018 l’Italia segna progressi inferiori a quelli medi dell’Unione europea o addirittura passi indietro in valori assoluti. Rimane davanti ai principali Paesi europei – Germania, Francia, Spagna – ma con un vantaggio che si va rapidamente assottigliando ed evidenzia un sostanziale stallo nella sua transizione ecologica.
L’ambito nel quale l’arretramento italiano appare più rilevante è il trend di crescita delle nuove energie rinnovabili, solare ed eolico, “cuore” della risposta alla crisi climatica: nel 2022 la produzione italiana da eolico si è contratta di circa l’1% rispetto all’anno prima, mentre su scala Ue è aumentata del 9 per cento, in Germania del 10 per cento, in Olanda e Danimarca di oltre il 18 per cento; sempre nel ’22 la produzione da solare fotovoltaico è cresciuta in Italia del 10 e er cento, a fronte di un incremento del 26 per cento nell’Ue, del 20 per cento in Germania, di oltre il 25 per cento in Spagna e Francia, del 54 per cento in Olanda. Le prospettive non sono brillanti anche considerando solo la nuova capacità fotovoltaica installata: in Italia è aumentata dell’11 per cento, la metà di quanto è cresciuta in media nella Ue (+22 per cento per cento) e addirittura un quinto di quanto è cresciuta in Olanda. Secondo il rapporto, inoltre, la transizione energetica dell’Italia è “al palo” anche in fatto di efficienza d’uso dell’energia (come quantità di energia fossile consumata per unità di Pil tra il 2018 e il 2021 siamo stati sorpassati da Spagna e dalla Francia e quasi raggiunti dalla Germania, che ci erano largamente dietro) e di penetrazione della mobilità elettrica (nel 2022 la quota di auto elettriche sul totale delle immatricolate era del 4 per cento, contro il 12 per cento della media Ue, il 18 per cento della Germania, il 13 per cento della Francia, il 24 per cento dell’Olanda).
Parlando di differenze territoriali, il rapporto evidenzia che lq macroregione del Centro Italia (Lazio, Toscana, Marche, Umbria) se fosse uno Stato a sé occuperebbe il primo posto nel ranking, come già l’anno scorso. Sempre “simulate” come Stati a sé, la macroregione del Nord (Lombardia, Veneto, Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta) perde due posizioni, dal terzo al quinto posto, quella del Sud/Isole (Campania, Abruzzo, Molise, Puglia, Calabria, Basilicata, Sicilia, Sardegna) scende dal sesto al settimo posto. Il Centro Italia è davanti a Nord e Sud/Isole sia negli indicatori di impatto, sia in quelli di efficienza d’uso delle risorse, sia in quelli che misurano la capacità di risposta ai problemi ambientali. Il Sud sopravanza il Nord negli indicatori di impatto e di risposta. Tra le macroregioni italiane, il Nord è però quella che peggiora di più. Nel ranking generale è sorpassata da Olanda e Austria, e sebbene si mantenga sopra la media Ue nella maggioranza degli indicatori (11 su 17), il suo trend segna un peggioramento diffuso rispetto alla tendenza media europea e a quella di tutte le grandi economie europee. L’arretramento del Nord è assoluto nel consumo di materia per unità di Pil (rispetto al 2018 cresce del 3 per cento mentre nella media Ue scende dell’8 per cento), nel consumo pro-capite di energia fossile (tra il 2021 e il 2019 cresce dell’1 per cento mentre nella Ue si riduce del 5 per cento), nella quota di rinnovabili sulla produzione elettrica (-3 per cento tra il 2021 e il 2019 mentre nella media Ue cresce del 10 per cento; qui pesa la crisi per ragioni climatiche del settore idroelettrico, non compensata da un aumento significativo delle nuove rinnovabili), nelle emissioni climalteranti che crescono sia in termini pro-capite che per unità di Pil mentre scendono nella media Ue. Nel Nord tra il 2018 e il 2021 peggiora anche il tasso di riciclo dei rifiuti urbani, che invece cresce del 7 per cento nella media Ue. Tra le ragioni del brusco rallentamento italiano sulla via della transizione ecologica, una delle più evidenti è nella scarsa capacità di innovazione tecnologica del nostro Paese. L’Italia spende in ricerca e sviluppo (2021) l’1,48 per cento del Pil, contro il 2,26% della media Ue e il 3,13 per cento della Germania, mentre nel 2020 (dato più aggiornato disponibile) la breve attualità dell’Italia è stata pari al 21 per cento di quella della Finlandia, al 26 per cento di quella della Germania, al 49 per cento di quella della Francia.Infine Grazie al forte utilizzo di materie prime seconde, l’industria manifatturiera italiana nel 2021 ha conseguito un risparmio energetico di circa 770 mila TJ (o 18,4 milioni di Tep), equivalente all’11,8 per cento del totale dell’energia disponibile lorda, e ha evitato emissioni climalteranti per 61,9 milioni di tonnellate di CO2eq, pari al 15,9 per cento delle emissioni lorde italiane.