Voleva “arrivare viva alla morte” Michela Murgia, lo aveva promesso nell’intervista del 6 maggio scorso al Corriere della Sera in cui aveva rivelato di soffrire di un carcinoma renale al quarto stadio. E così ha fatto, senza rinunciare, fino alla fine, a prendere posizione, a far sentire la sua voce libera e antagonista nei confronti del potere, a raccontare sul web tanti piccoli e grandi atti, di gioia, di dolore, di protesta, fino alle nozze del 15 luglio ‘in articulo mortis’ con Lorenzo Terenzi e alla festa il 23 con la sua famiglia allargata, una sorta di manifesto politico anti patriarcato con gli invitati tutti in bianco e la scritta God save the queer ricamata con perline rosso sul suo abito fatto per lei da Maria Grazia Chiuri, la stilista di Dior.
“Non è una festa – aveva spiegato all’atto di sposare Terenzi, attore, regista, autore e anche musicista, conosciuto nel 2017 grazie a uno spettacolo teatrale in cui lei era la protagonista e lui lavorava alla regia. Lo abbiamo fatto controvoglia: se avessimo avuto un altro modo per garantirci i diritti a vicenda non saremmo mai ricorsi a uno strumento così patriarcale e limitato, che ci costringe a ridurre alla rappresentazione della coppia un’esperienza molto più ricca e forte, dove il numero 2 è il contrario di quello che siamo. Niente auguri, quindi, perché il rito che avremmo voluto ancora non esiste. Ma esisterà e vogliamo contribuire a farlo nascere”.
Circondata dalla sua queer family di dieci persone e dai suoi quattro figli “d’anima” (il più grande di 35 anni, il più piccolo di 20), Murgia ha affrontato le ultime fasi della malattia: “Posso sopportare molto dolore, ma non di non essere presente a me stessa”, aveva detto a maggio al Corriere, rivelando che, dopo il primo cancro al polmone di anni fa, il tumore era tornato al rene e le metastasi avevamo già raggiunto i polmoni, le ossa, il cervello. “Ma non chiamatemi guerriera, odio i militari”, aveva avvertito in un affollatissimo incontro pubblico all’ultimo Salone del Libro di Torino. “Se sono stanca di essere antagonista? In un Paese normale, civile, quello che faccio io lo fanno gli intellettuali e nessuno viene trascinato in tribunale. È l’unico Paese che si definisce democratico dove gli intellettuali sono perseguitati dal potere”, aveva detto con forza in quella occasione. “In un mondo di vili tutto è un atto di coraggio. Io dico quello che penso”.
Nata a Cabras nel 1972, alle spalle una formazione cattolica, prima di dedicarsi alla scrittura Michela Murgia ha svolto diverse attività: dalla sua esperienza come venditrice telefonica è nato Il mondo deve sapere (2006), romanzo tragicomico sul mondo dei call center, che ha ispirato l’opera teatrale omonima e il film Tutta la vita davanti (2008). Molto legata alla sua terra, nel 2006 ha dato vita al blog Il mio Sinis per raccontarne i luoghi meno noti, nel 2008 aveva firmato Viaggio in Sardegna (2008). Due anni dopo è uscito Accabadora, premio Super Mondello e premio Campiello, considerato il suo capolavoro, storia di un’anziana donna che in un villaggio sardo dà di nascosto la morte ai malati gravissimi che gliela chiedono, e di una bambina che la donna adotta e che scopre a poco a poco il vero scopo delle uscite notturne della madre adottiva. Nel 2011 Ave Mary, riflessione senza filtri sul ruolo della donna nel contesto cattolico. Tra le sue opere successive il saggio breve sul femminicidio L’ho uccisa perché l’amavo. Falso!; e ancora Futuro interiore, L’inferno è una buona memoria, il saggio Istruzioni per diventare fascisti, Noi siamo tempesta. Storie senza eroe che hanno cambiato il mondo. Stai zitta, God save the queer. Catechismo femminista e infine l’ultimo Tre ciotole – Rituali per un anno di crisi, entrato subito in testa alle classifiche di vendita: un romanzo che si apriva sulla diagnosi di cancro, un romanzo fatto di storie che si incastrano e in cui i protagonisti stanno attraversando un cambiamento radicale che costringe ciascuno di loro a forme inedite di sopravvivenza emotiva.
“Una sera ti metti a tavola e la vita che conoscevi è finita”. A volte a stravolgerla è un lutto, una ferita, un licenziamento, una malattia, la perdita di una certezza o di un amore, ma è sempre un mutamento d’orizzonte delle tue speranze che non lascia scampo. “Il cancro è il tempo migliore della mia vita” aveva detto qualche mese fa la scrittrice femminista, critica sul governo di centrodestra, paladina sempre pronta a far sentire la sua voce contro le ingiustizie del nostro tempo. Una voce che da questa sera si è spenta.
L’affetto per Michela Murgia, la scrittrice, drammaturga e attivista morta ieri sera all’età di 51 anni, rimbalza sui social dove si moltiplicano i messaggi di cordoglio.
“Ma l’amor mio non muore”, scrive Roberto Saviano. “Michela, amore. Grazie per tutto”, è il messaggio di Loredana Lipperini. “Non so come faremo a stare senza di te. Ci hai insegnato come vivere e anche come morire”, le parole di Luciana Littizzetto. “Nella notte delle stelle, va via una stella. Libera fino all’ultimo: addio Michela #Murgia”, è il post di Paolo Borrometi. “Quel tuo ultimo sorriso, donna luminosa, lo porterò sempre con me. #michelamurgia”, dice Geppi Cucciari. “Lotteremo insieme sempre, perché ci sarai sempre e vinceremo noi”, commenta il deputato Pd Alessandro Zan. “Buon viaggio Michela, la pensavamo in modo diverso, ma spero tu possa ora trovare la pace”, scrive la ministra del Turismo Daniela Santanchè, mentre il vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini pubblica una foto della scrittrice con la scritta “Una preghiera”.