Questa struttura crea una divisione tra la zone del presbiterio, in cui vengono celebrati i divini misteri, e quelle lungo la quale si collocano i fedeli. Lo scopo è quello di nascondere allo sguardo degli astanti i rituali celebrati: le cose sante non possono essere svelate in quanto esiste una gradualità con la quale l’uomo viene educato e si avvicina alla fede.
L’iconostasi che propone Johnny Eroe da MANCASPAZIO è bloccata in un tempo imprecisato, tra l’assemblaggio e lo smembramento, tra la concrezione e dissoluzione, tra la messa in opera e la demolizione. Un’iconostasi androide. struttura organica che attraversa l’ambiente della mostra, costruita da maestranze umanoidi, destinata a culti cibernetici. In essa, seguendo un codice preciso, vanno ad incastonarsi i dipinti come finestre su una dimensione altra. in alcuni di questi Eroe coinvolge la macchina direttamente nella fase esecutiva dell’opera, sperimentando la sequenza disegno – scansione – stampa – intervento pittorico, per sfumare i confini tra l’unicità del procedimento pittorico e la sua riproduzione artificiale.
È il caso di opere The fence, Yellow big plant, Natura morta 1 e 2: altre volte, come in Masterpiece le opere sono stratificazioni di forme, colori, velature, cancellazioni e rimaneggiamenti, dove sono i tempi di realizzazione ad allearsi all’artista, prevedendo pause durante le quali il soggetto può decantare, chiarificare e aprirsi a nuove prospettive.
Rifiutando la triade dipinto/chiodo/parete le opere di Johnny Eroe creano dunque un unico corpo architettonico, autonomo e imponente, andando a generare un nuovo ulteriore mondo, un nuovo ulteriore spazio, fisico e mentale, laddove lo spazio, per statuto stesso della galleria che ospita il progetto, manca.