Claudio Martelli a Nuoro: “Giovanni Falcone fu tradito anche dalla Magistratura”

Nei giorni nei quali ricorre il trentennale delle stragi di Mafia, aver ascoltato ieri sera alla Biblioteca Sebastiano Satta l’ex ministro Claudio Martelli che presentava il libro “Vita e persecuzione di Giovanni Falcone” è stato un privilegio.

Nuoro, Claudio Martelli alla Satta (foto S.Meloni)

Un libro, come ha sottolineato l’autore che ha avuto una lunga gestazione e scritto con la giusta distanza di chi ha poi nel tempo compreso  in parte i misteri e digerito i tanti dubbi che aleggiano sulla morte di Giovanni Falcone.

Nuoro, Claudio Martelli alla Satta (foto S.Meloni)

Sono parole di rabbia quelle contenute nel libro di Claudio Martelli (vicesegretario del Psi di Bettino Craxi) ricostruisce gli anni della sua permanenza al ministero della Giustizia nei governi Andreotti (aprile 1991 aprile 1992) e Amato (giugno 1992-aprile 1993), dal quale si dovette dimettere l’11febbraio perché raggiunto da un avviso di garanzia, e della sua stretta collaborazione con il magistrato siciliano, che aveva chiamato a dirigere l’ufficio Affari penali del ministero. Era iniziato anche il tempo di “Mani Pulite”, un tempo che si era sovrapposto, all’omicidio di Salvo Lima (marzo1992), alle stragi di Capaci (23 maggio 1992) e di via d’Amelio (19 luglio 1992), in cui la mafia di Totò Riina aveva ucciso i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Nel gennaio dello stesso anno era arrivato a sentenza a Palermo, il cosiddetto Maxi processo, iniziato nel 1986, che aveva visto condannare tanti boss, fra cui il latitante Riina, e “soldati” mafiosi. Artefice del quale fu proprio Falcone, grazie al suo innovativo sistema di indagine che prevedeva collaborazione fra le procure e con le forze di polizia, con la Fbi e la Dea, impegnate negli Stati Uniti a contrastare la mafia siciliana (Cosa nostra); sostenuto da un’analisi sociale, economica, politica e culturale della mafia non più letta come “Antistato” ma come fenomeno contiguo allo Stato stesso.

Martelli riporta le parole di Falcone: «Straordinaria è la contiguità economica, ideologica, morale tra mafia e non mafia, e la commistione inevitabile tra valori siciliani e valori mafiosi, tra appartenenti all’organizzazione e cittadini comuni. Perché la Mafia – è stato sottolineato durante l’incontro a Nuoro- non è una cosa astratta ma è insita nel primo nucleo ovvero la famiglia per arrivare al vertice che come fu definita dai giornalisti è la Cupola con il “Capo dei Capi” che con Totò Riina ebbe una modifica con la nomina del vice Capo che lui identificò in Bernardo Provenzano e loro come- li definii Falcone- agivano in sinergia e non si ostacolavano mai per avere tutto sotto controllo».

Una verità beffarda quella rivelata da Martelli come scritto nel libro: “Falcone ebbe tanti nemici, ma due furono quelli che cominciarono a farlo morire e che poi effettivamente lo uccisero. Il nemico assoluto è stata la mafia di Totò Riina che lo massacrò col tritolo; il secondo, i non pochi magistrati che “cominciarono a farlo morire. Se le responsabilità erano diverse le colpe di non pochi magistrati non erano meno gravi. Proprio perché erano magistrati, funzionari della Giustizia”.

Martelli delinea il profilo umano e professionale di Falcone,  “perché Giovanni – scrive – io l’ho conosciuto bene”; ricostruisce il clima velenoso e di ostracismo che gli avevano creato attorno una parte della “corporazione” della Magistratura, in particolare il suo organo di governo, il Csm, già allora preda delle correnti (come recentemente ha raccontato Luca Palamara del Csm di oggi molto simile, però, nelle logiche spartitorie a quello di ieri); una certa stampa come “l’Unità” e il “Giornale» di Montanelli; il mondo politico compreso il Pci trascinato da Leoluca Orlando (Cascio), l’ex sindaco di Palermo, che accusava il magistrato siciliano di tenere nei cassetti la prova dei legami tra mafia e politica.

Martelli rivendica la costituzione durante la sua permanenza al ministero, in stretta collaborazione con il ministro dell’Interno, Vincenzo Scotti e il totale appoggio di Andreotti, della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (Dna), della Direzione investigativa antimafia (Dia) e della Direzione distrettuale antimafia (Dda), dell’approvazione dell’art. 46 bis del Codice penale (isolamento “duro” in carcere per mafiosi).

Chi leggerà “Vita e persecuzione di Giovanni Falcone” si farà quadro, forse parziale, ma utilissimo per capire come e dove si muoveva Falcone, contro chi dovette lottare e comprenderà le parole di Paolo Borsellino, pronunciate dopo l’omicidio dell’amico: «Ripercorrendo queste vicende della vita professionale di Falcone ci accorgiamo di come in effetti il Paese, lo Stato, la magistratura, che forse ha più colpe di ogni altro, cominciarono a far morire Falcone nel gennaio 1988 quando non gli diedero l’incarico ufficiale di gestire il Maxi processo che lui di fatto aveva progettato e gestito».

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Sonia