Era un mercoledì di 66 anni fa, l’8 agosto 1956 quando 275 minatori scendono nei pozzi minerari di Bois du Cazier a Marcinelle, stipati nelle gabbie degli ascensori venivano distribuiti nelle gallerie dei vari piani a 756 e 1035 metri di profondità. Un carrello esce dalle guide e sbatte contro un fascio di cavi elettrici dell’ alta tensione sprovvisto di rete di protezione.
Scoppia l’incedio, le fiamme si diramano in tutte le gallerie della miniera, sono solo 13 i minatori che riescono a mettersi in salvo, 262 i morti di cui 136 italiani fra cui anche sardi e meridionali emigrati in Belgio alla ricerca di una vita migliore. Avevano la pelle nera come i loro volti, le mani sporche e rovinate dal duro lavoro come i loro corpi ma in tutti era presente la dignità.
Lavoravano in condizioni disumane con una misera paga a fine mese dalla quale dovevano trarre qualche soldo da inviare ai loro familiari e spesso abitavano in alloggi di fortuna.
Una tragedia ancora oggi da ricordare e che era stata seguita in tutto il mondo, ha lasciato 149 famiglie in lutto e 417 orfani. Il figlio, nato in Belgio, di un minatore della provincia di Nuoro, quasi commosso recentemente ha raccontato: «Mio padre si è salvato dalla morte, perché un suo collega gli aveva chiesto il cambio turno e lui lo ha accontentato se no sarebbe stato tra le vittime di quell’eccidio».
Al processo vennero assolti i dirigenti della società mineraria in quanto la responsabilità fu attribuita all’operaio che manovrava quel carrello e che morì nella tragedia. Le condizioni di lavoro e le misure di sicurezza che non erano state adottate non vennero considerate.
Oggi di fronte alla morte avvenuta a Cagliari del ragazzo nigeriano impegnato nel volontariato, Marcinelle deve far riflettere sui sacrifici dei nostri emigrati e degli immigrati che arrivano in Sardegna.
F.Nieddu