Il mese di maggio è stato per Onda Rosa “il mese della primavera femminista”, l’associazione nuorese che da trent’anni gestisce il centro antiviolenza, ha organizzato diversi eventi per riportare all’attenzione temi che spesso sembrano dimenticati. Dopo l’incontro dedicato al femminismo, giovedì 26 si è parlato di violenza, di femminicidi, delle cause che portano, ancora oggi, a compromettere la libertà delle donne e delle ragazze. Se n’è parlato, anche questa volta, con ospiti d’eccezione come Monica Lanfranco, Giuliana Sgrena e Loredana Rotondo. La prima, che ha anche coordinato l’incontro, è una giornalista professionista, formatrice sulla differenza sessuale, femminista; ha fondato nel 1994 la rivista “Marea”, un trimestrale nel quale, in ogni numero, si parte da una parola, da un concetto o da un’idea e le autrici partendo da queste, si muovono nel mondo del femminismo, nel mondo delle donne, approfondendo di volta in volta, tematiche di attualità, cercando di trasmettere energia positiva.
Dichiararsi femminista oggi, in Italia, sembra una parolaccia; all’estero non è così, come entrare nelle scuole, parlare con “le” e con i giovani è ancora difficile. Per presentare Loredana Rotondo vengono proiettati alcuni minuti del docu-film che la Rotondo, insieme ad altre colleghe, girò nel 1979 durante un processo per stupro che si svolse presso il tribunale di Latina. Un documentario che scosse l’opinione pubblica, la visione in tv di un processo nel quale la giovane stuprata passava da vittima ad imputata, situazione che si ripete ancora oggi quando domande e insinuazioni condannano la vittima al giudizio di difensori pronti a infangare la donna in favore dei propri assistiti. Le stesse donne intervistate nel documentario sono pronte a difendere i propri mariti e/o i propri figli in nome di una sessualità che l’uomo non può controllare di fronte ad una ragazza svestita, di fronte alla cordialità o alla compagnia di una donna al bar? La Rotondo racconta che le sue mani tremavano dentro quell’aula di tribunale, il pubblico mormorava e commentava le domande che gli avvocati rivolgevano agli imputati e poi alla vittima, le giornaliste erano consapevoli che non ci sarebbe stata giustizia.
Allora ci si domanda cosa sia cambiato da allora, come è cambiato l’atteggiamento delle donne nei confronti delle loro libertà, conquistate a fatica dalle generazioni precedenti, di cui le ospiti del convegno sono rappresentanti, donne che hanno combattuto con fierezza contro una cultura patriarcale che impediva alle ragazze di uscire vestite in un certo modo, di partecipare a feste o andare in giro dopo una “certa” ora. Se queste libertà appaiono oggi scontate d’altro canto non è cambiato l’atteggiamento nei confronti delle donne che, a seguito di una serata in discoteca, dopo aver magari bevuto un po’, vengono stuprate, picchiate e poi minacciate. Sono ancora troppi i reati di violenza in danno alle donne che non vengono denunciati, proprio a causa della paura, innanzitutto di subire processi nei quali si diventa imputata, a causa della gente intorno che, al minimo segnale di un: “forse… però… cosa ci faceva in giro alle 4 del mattino”, si sente chiamata a speculare sul comportamento adeguato o meno della ragazza.
Giuliana Sgrena, anche lei giornalista, corrispondente estero in Algeria, Palestina, Iraq, Afghanistan, da sempre si occupa di temi relativi alla cultura islamica e alla condizione delle donne nei paesi musulmani. “Sotto il burqa c’è sempre una donna ma dietro il burqa c’è sempre un uomo”, con questa frase si chiude il suo ultimo libro “Donne ingannate”, nel quale spiega come la donna sia sempre considerata la responsabile della violenza subita. L’uso del velo e degli abiti che nascondono la femminilità delle donne serve per non indurre l’uomo in tentazione; vedere i capelli, le gambe o anche solo sentire la voce di una donna che parla può essere provocatorio. La famiglia della donna violata, nella cultura islamica, deve pagare perché è stata la loro figlia (per esempio) ad indurre in tentazione l’uomo molestatore, mostrandosi nella sua femminilità. Ancora, è l’uomo che accompagna la donna a pagare la multa, se la donna al suo braccio non indossa il velo. La Sgrena attraverso i suoi scritti ha denunciato la mancanza di relazione tra il corano e certi obblighi costretti alle donne islamiche, non esiste un motivo religioso legato all’uso del velo o del burqa. Basti pensare che in Iraq, racconta sempre la Sgrena, fino al 1979 le donne vestivano “all’occidentale”, usavano anche le minigonne! Ci fu poi un processo di re-islamizzazione che sovvertì, bloccò quello indegno proposto dall’occidente. Le ospiti si sono alternate nel dibattito, guidato dalle domande di Monica Lanfranco, tra i tanti temi anche quello della prostituzione, della sessualità maschile, della parità di genere. Qualcuno si chiederà se è ancora necessario rilanciare certi temi e la risposta è assolutamente SI! Si perché ancora nel 2018 un noto quotidiano ha pubblicato un “decalogo” sul come evitare di essere violentate, SI perché esiste ancora la dicotomia tra professioni femminili e professioni maschili, avanzamenti di carriera, dimissioni in bianco, SI perché ancora negli USA si abolisce l’aborto ma si tiene in farmacia la pillola del giorno dopo, SI perché in fondo, certa cultura maschilista e patriarcale la fa ancora da padrona in troppe realtà.
Stefania Chisu