Rayan Awram, il bambino di cinque anni che martedì è finito in un pozzo sulle colline vicino a Chefchaouen, in Marocco, è morto.
Il Marocco ha seguito tutto davanti alla Tv, proprio come accadde in Italia quando Alfredino Rampi precipitò in un pozzo artesiano il 10 giugno 1981, vicino a Fiumicino. Quella volta finì nel modo peggiore. Il piccolo Rayan sembrava atteso da un destino diverso: la corsa contro il il tempo non è stata vinta dai soccorritori. Il piccolo era lì da 5 giorni, da martedì, incastrato nel buio, solo. A stroncarlo le ferite che si era procurato durante la caduta. Sdraiato su un fianco sfinito, ma vivo è stato tirato fuori.
Rayan era lì, rannicchiato a 32 metri di profondità, finalmente a pochi centimetri da loro. «Non ha riportato ferite gravi», hanno detto i soccorritori, che hanno subito iniziato le operazioni per l’estrazione del bambino. Ma non era vero. Per cinque ore hanno lavorato nel tunnel orizzontale che collegava quello verticale scavato nei giorni scorsi parallelamente al pozzo in cui era caduto. Sono andati avanti centimetro dopo centimetro. Roccia dopo roccia stando attenti a calibrare ogni picconata perché un crollo anche minimo avrebbe potuto far scivolare il bambino ancora più giù, in quel budello largo 30 centimetri che scende fino a 60 metri sotto terra. Con solerzia e pazienza: ogni minuto poteva fare la differenza tra la vita e la morte; contro la paura, perché tutto poteva andare storto. Contro la fatica, perché tutti erano in ballo da cinque giorni, ormai, con le braccia stanche e i nervi a pezzi. Hanno scavato a mano e solidificato quel tunnel che sembrava non finire mai e poi eccolo. Dopo essere stato estratto dal pozzo, è stato caricato su un’ambulanza, trasportato a un elicottero che lo aspettava per portarlo in ospedale. Il mondo ha sperato, ci ha creduto. Poi il gelo. Una nota ufficiale dell’ufficio del protocollo del re del Marocco ha comunicato che Rayan era morto. Il re Mohammed VI ha telefonato ai genitori per porgere le proprie condoglianze.