Raddoppiano i costi delle semine per gli agricoltori che non hanno goduto di neppure un centesimo per gli aumenti stellari del grano. È il paradosso che stanno vivendo i cerealicoltori che oltretutto in Sardegna sono fermati nei lavori di semina dalle continue piogge degli ultimi due mesi che non permettono ai trattori di poter entrare nei campi allagati.
«Siamo in forte ritardo con le semine, avremmo dovuto chiudere da quindici giorni ma ne avremo fino a metà febbraio – spiega l’agricoltore Paolo Floris, vice presidente provinciale di Coldiretti Cagliari -. Si prospetta il rischio concreto che un terzo delle terre non si possano seminare a grano».
Un problema già vissuto un anno fa che quest’anno si associa alla pesante e dolorosa grana dei costi di produzione. Da una analisi Coldiretti emerge che i costi delle semine per la produzione di grano destinato a pasta e pane, sono praticamente raddoppiati per effetto di rincari di oltre il 50% per il gasolio necessario alle lavorazioni dei terreni ma ad aumentare sono pure i costi dei mezzi agricoli, dei fitosanitari e dei fertilizzanti che arrivano anche a triplicare.
«Il costo dell’urea – ricorda Floris – è cresciuto in un anno di circa il 165%, da 37 – 38 euro a 100 – 105 euro, cosi come il costo dell’adblue è quadruplicato. Sono costi insostenibili che dobbiamo tra l’altro anticipare per poi avere una remunerazione del grano sotto i costi di produzione che arriva anche dopo mesi dalla vendita. E’ un sistema insostenibile».
Il duro italiano – sottolinea Coldiretti – è pagato agli agricoltori nazionali meno di quello proveniente dall’estero che pesa per il 40% sulla produzione di pasta. La produzione importata in Italia, soprattutto dal Canada, è ottenuta peraltro con l’uso del diserbante chimico glifosato in preraccolta, vietato in Italia. Una anomalia che ha spinto il record degli acquisti di pasta con grano 100% italiano reso riconoscibile dall’ obbligo di etichettatura di origine fortemente sostenuto dalla Coldiretti.
Ci sono insomma le condizioni per incrementare la produzione di grano duro che in sedici anni (2004 – 2020) ha perso oltre l’80% della superficie, addirittura 78.644 ettari, passando da 96.710 ettari a 18.066. E dire che la Sardegna tra la fine dell’Ottocento e inizi del Novecento era la seconda regione dopo la Sicilia in cui si coltivava più frumento duro in Italia: 158.000 ettari su 1,29 milioni totali (dato Laore). Negli ultimi venti anni sono dimezzati anche i cerealicoltori, passati da oltre 12mila a meno di 6mila.
«Gli aumenti impazziti dei prezzi stanno creando un corto circuito per le aziende agricole che puntualmente pagano le crisi e vengono estromessi dagli utili che non si sa quest’anno dove si siano fermati visto che anche il consumatore finale risente di questi aumenti – evidenzia il presidente di Coldiretti Sardegna Battista Cualbu –. Per fermare le speculazioni ribadiamo la necessità degli accordi di filiera che garantiscano equilibrio. Adesso come produttori abbiamo l’arma della norma contro le pratiche sleali, sostenuta da Coldiretti, che garantirà equilibrio lungo tutta la filiera e bandisce pratiche sleali come l’acquisto sotto i costi di produzione».