“L’ALTrA MODA. Vestire in Sardegna fra 1810 e 1930” è il titolo di una mostra che raccoglie una trentina di abiti originali di un periodo che va dai primi anni del XIX secolo ai primi decenni del XX secolo, messi a disposizione da alcune importanti famiglie nobili, borghesi e appartenenti alle elites rurali di Bosa, Cuglieri, Tresnuraghes ed altri centri dell’Isola.
Patrocinata dalla Regione Sardegna e originariamente allestita nei locali del Museo Casa Deriu di Tresnuraghes, l’esposizione è curata da Pier Tonio Pinna, direttore del Museo, e Antonella Unali, responsabile dei servizi educativi della stessa Casa Deriu, entrambi facenti parte della cooperativa Musarte. Dallo scorso 12 agosto, grazie al contributo dell’Assessorato al Turismo del Comune, la mostra è stata trasferita a Bosa, negli splendidi locali del secentesco Convento dei Cappuccini, riaperto per l’occasione dopo anni di inutilizzo.
Si tratta di un viaggio unico nelle tendenze della moda europea giunte nell’Isola a metà Ottocento soppiantando progressivamente l’utilizzo degli abiti tradizionali: dalla sintesi dello stile Impero all’estro della Belle Époque, attraverso una serie passaggi in cui la morfologia del corpo femminile fu plasmata, a seconda del gusto della moda, attraverso voluminose crinoline e altri particolari artifizi opportunamente celati le balze dei tessuti, impreziositi da strascichi amovibili, ricami, pizzi, perline e raffinati bottoni.
Non solo abiti: in mostra sono esposti anche accessori quali ombrellini parasole, calzature, copricapi femminili di varie fogge e materiali, borsette, oltre ad alcune bombette maschili, colletti, panciotti e altre curiosità.
In occasione dell’inaugurazione della mostra abbiamo intervistato la restauratrice dei capi esposti Antonella Murtas, stilista e storica della moda, laureata in Moda & Costume all’Accademia delle Belle Arti Lorenzo da Viterbo e con una vasta esperienza sul campo:
Cosa ha significato per te un’esperienza come questa: Nel restaurare l’intera collezione di abiti e accessori esposti nella mostra ho potuto toccare con mano la bellezza e i tagli sartoriali di abiti che giungono a noi per raccontarci le tendenze della moda dei due secoli appena trascorsi.
Restaurare un capo antico è un’esperienza emozionante, profonda, dove il tempo sembra fermarsi; ridare forma a tessuti lesi dal tempo ne fa rivivere la magia, rivitalizzare i profumi e l’ingegno delle abili mani di sarti e creatori d’altri tempi.
Quali sono le fasi del restauro: Il capo di abbigliamento viene innanzitutto attentamente osservato e ne vanno esaminate le varie problematiche e le tipologie di degrado, dopo di che si sceglie il modus operandi e si procede all’intervento di restauro per il quale sono stati precedentemente ricercati i materiali. L’intervento in sé viene effettuato a cucito manuale, rispettando la natura del tessuto senza modificare la modellistica e apportare modifiche. I tessuti particolarmente delicati e fragili, che spesso sono anche quelli maggiormente lesionati, impongono un metodo operativo controllato sia nell’uso di specifici strumenti che nelle modalità d’intervento.
Altra fase, non meno importante, sono gli studi per la datazione dei capi d’abbigliamento e degli accessori, studi che consentono di ricostruirne le fogge e definirne la confezione sartoriale originale e i numerosissimi punti sartoriali.
L’ultima fase, molto delicata, è l’allestimento dell’abito e la sua la messa in posa sul mannequin, sui supporti museali e all’interno delle vetrine.
Qualche curiosità: tra le cose che mi hanno maggiormente appassionato ci sono i bottoni, in particolare quelli di un giacchino, probabile creazione dello stilista parigino Charles Frederick Worth, un discorso che mi piacerebbe approfondire negli archivi del Musée de la Mode (Musée Galliera) de la Ville de Paris
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