“La staffetta era la ragazza che rischiando la vita manteneva i collegamenti tra il Comitato di Liberazione Nazionale e le brigate, portava ordini, informazioni, armi o medicinali ai combattenti che lottavano nelle officine, nelle città, nelle valli e sui monti, delle regioni d’Italia. Le staffette rischiavano ad ogni viaggio di essere catturate, violentate e torturate e per questo nessuno doveva sapere il loro nome né loro dovevano conoscere i nomi degli altri partigiani, sì da non poter parlare neppure sotto tortura e garantire la sicurezza di tutti”: questo il racconto, con un piglio che non ha perso nonostante l’età, Luciana Romoli, nata a Roma il 14 dicembre 1930, di famiglia antifascista, nome di battaglia “Luce”, staffetta della Brigata Garibaldi della sesta zona di Roma.
È stata la bambina della Resistenza: a otto anni fu espulsa da tutte le scuole del Regno per essersi ribellata alle leggi razziali che colpirono la sua compagna di banco ebrea e per aver organizzato una rivolta scolastica.
Luciana è una ragazza degli anni Cinquanta. Giovanissima, a soli 13 anni, le appare evidente e immediata la necessità della lotta per la libertà anche a costo della vita; entra così nella Resistenza, come staffetta. Solo al termine della Seconda guerra mondiale “Luce” , romana, classe 1930, è riuscita a completare gli studi, divenendo biologa.
Oggi questa tenace e coraggiosa ultranovantenne ritiene un suo fermo dovere ricordare ai più giovani i valori della lotta partigiana. E con immutata energia continua a battersi per la libertà ma sul fronte dell’educazione. La sua testimonianza è raccolta nel libro Noi, Partigianied è stata raccontata qualche giorno fa nel corso del programma Le ragazze, su RAI 3