“I dipendenti pubblici stanno a casa, non possono essere controllati e lavorano pochissimo. In un anno di smart working hanno preso anche i buoni pasto e questo è immorale e poco etico. Ma è quello che è successo in Regione Sardegna”. Sono parole che l’assessore regionale al Turismo Gianni Chessa (Psd’Az) ha pronunciato, collegato in videoconferenza, durante la seduta del Consiglio comunale di Dorgali di lunedì 21 aprile. Il video sta rimbalzando sui social e nelle chat. E monta la polemica.
Chessa sta spiegando ai consiglieri le ragioni dei ritardi nel disbrigo di varie pratiche, compresi i ristori per i sardi che hanno più pagato la crisi. “L’unico piano che in questo assessorato lavora è il quarto, dove mi trovo io con il mio staff – dice – gli altri sono a casa, ecco il perché dei ritardi: non c’è il personale che fa le pratiche e a pagarne lo scotto sono i cittadini che hanno bisogno dei soldi, non certo l’impiegato pubblico con la busta paga. Altro che fare il processo alla politica e ai politici“.
L’uscita di Chessa non è piaciuta al presidente del suo stesso partito sardista, Antonio Moro, il quale, postando il video sul suo profilo Facebook, scrive: “Il problema sarà quando controlleranno te. Contieniti e porta rispetto a chi lavora e a chi si impegna per la Sardegna dopo aver studiato, fatto sacrifici e fatto i concorsi. Ora basta”.
Amarezza e stupore per parole che rivelano mancanza di rispetto sia verso il lavoro dei dipendenti pubblici sia verso il ruolo istituzionale ricoperto: un assessore regionale dovrebbe ben sapere cosa sia il lavoro agile in emergenza e soprattutto non lasciarsi andare a esternazioni completamente fuori luogo”. Così la presidente della commissione Lavoro alla Camera Romina Mura (Pd) sulle affermazioni dell’assessore al Turismo della Regione Sardegna a proposito dei dipendenti pubblici in smart working. “Invece di avventurarsi a discettare sulla possibilità di controllare i dipendenti attraverso le telecamere dei pc – suggerisce Mura – l’assessore Gianni Chessa si impegni nelle sue competenze e, assieme a tutta la Giunta, si adoperi per l’urgenza vera della Sardegna: uscire dalla pandemia e dalla zona rossa per far ripartire l’economia. Con la Regione in queste condizioni – conclude – prendersela con i dipendenti o con il coprifuoco è assurdo”.
Chessa fa marcia indietro rispetto alle parole utilizzate sui dipendenti pubblici in smart working: “producono una percentuale di lavoro irrisoria. Esprimo profondo rammarico – scrive in una nota – e nutro il massimo rispetto per i dipendenti della Regione e, specificamente, per quelli del mio assessorato, e sono consapevole dei sacrifici e disagi ai quali si sono sottoposti soprattutto nel corso dell’ultimo anno”. Spiega, inoltre, che le sue affermazioni “erano il frutto non di un mancato riconoscimento del lavoro svolto, ma della frustrazione nel continuare a vedere che, a causa della pandemia, gli uffici sono costretti a lavorare sempre in un regime di emergenza, ciò che comporta necessariamente (ma per cause che non dipendono dall’impegno dei dipendenti) un rallentamento della macchina amministrativa e, quindi, l’impossibilità di raggiungere tutti i risultati che come Giunta e come assessorato avevamo programmato. Tuttavia – conclude – mi rendo conto che le mie parole sono risultate fuori luogo. Chi mi conosce sa che è nel mio carattere utilizzare spesso espressioni simboliche e colorite, per enfatizzare i miei discorsi. In questo caso, lo riconosco, è venuto fuori un pensiero che non mi appartiene e pertanto ribadisco a tutti le mie scuse” .