I test antigenici rapidi sono armi spuntate per combattere la circolazione delle varianti del virus SarsCoV2: sono infatti progettati per riconoscere gli antigeni della proteina Spike, ossia la proteina del virus nella quale si concentra la maggior parte delle mutazioni che finora hanno dato origine alle varianti.
«I test antigenici riconoscono il virus nativo e non ci sono al momento dati disponibili per verificare se questi siano in grado di riconoscere la proteina S modificata delle varianti», rileva il virologo Francesco Broccolo, dell’Università di Milano Bicocca. Per questo, osserva, «per identificare e tracciare le varianti è necessario fare i molecolari. È sul tampone molecolare ad alta carica che si possono ricercare le nuove varianti con il sequenziamento».
«Attualmente – prosegue Broccolo – non ci sono studi che valutino se i test antigenici rapidi disegnati per riconoscere la proteina S del virus nativo funzionino sulle varianti del virus SarsCoV2 che sono note avere proprio mutazioni sulla proteina S del virus. Non sappiamo, quindi, se i test basati sul riconoscimento antigene S-anticorpo stiano rilevando le varianti attualmente in circolazione, così come non sappiamo se le nuove varianti riusciranno a sfuggire alle terapie con anticorpi monoclonali e ai vaccini che evocheranno una risposta anticorpale su virus nativo».
Al momento, rileva, i test antigenici rapidi riconoscono la proteina S del virus che circolava nel febbraio 2020. Per i test molecolari è possibile, da parte delle case produttrici, fare continui aggiornamenti valutando le mutazioni descritte nelle varianti del virus SarsCoV2 che vengono depositate e registrate nelle grandi banche dati genetiche internazionali. Inoltre, contrariamente ai test antigenici che rilevano un solo target, i test molecolari sono multigenici (cioè amplificano più regioni del genoma virale) e quindi il risultato non viene inficiato se una delle regioni non viene amplificata a causa della mutazione.
«In linea di massima i test antigenici rapidi di prima e seconda generazione (attualmente i più utilizzati) hanno una buona specificità, ma sono circa mille volte meno sensibili del tampone molecolare, dando una percentuale di falsi negativi oltre al 60% – prosegue il virologo. Il problema è il modo con cui viene valutata la sensibilità da parte dei produttori: questa, prosegue,«viene calibrata sulla base del confronto con un numero esiguo di tamponi molecolari, che può andare da un minimo di 30 fino a 300, la maggior parte dei quali positivi alla ricerca del genoma del virus SarsCov2 con la tecnica della reazione a catena della polimerasi (Pcr). I campioni hanno diverse quantità particelle virali in quanto sono prelevati in momenti diversi della malattia e selezionati dalle aziende produttrici dei test».
Si tratta, secondo Broccolo, di «validazioni non basate sulla letteratura scientifica e può facilmente accadere che se i tamponi di riferimento hanno tutti una carica molto alta, anche la sensibilità dei test risulti elevata”, tale da soddisfare i requisiti richiesti dal ministero della Salute relativa ai test antigenici, che prevede una sensibilità del 90%. Nella pratica, quindi, «le dichiarazioni di sensibilità e specificità riportare dai produttori dei test antigenici non sono confermate da studi clinici, ma fatte su un numero esiguo di campioni clinici selezionati».