La situazione dell’ospedale San Francesco continua a polarizzare l’attenzione dei riflettori, e non certo in positivo.
Prima le lunghe attese delle ambulanze cariche di pazienti Covid davanti al Pronto soccorso, giorni e giorni con malati trasferiti da un’ambulanza all’altra prima poterli affidare alle cure dei medici (APPROFONDISCI). Il problema adesso sembrerebbe essere risolto, forse, o quanto meno attenuato. Poi lo scandalo dei morti per Covid che non risultavano nei conteggi dell’Unità di crisi regionale, anche questo problema apparentemente risolto da ieri, con l’indicazione nell’aggiornamento quotidiano di 43 decessi nell’ultimo mese tra Nuoro e provincia (APPROFONDISCI), ai quali si aggiungo i quattro di oggi. Questo fatto, dovuto a quanto pare a un vizio di comunicazione tra il servizio di Igiene pubblica e la Regione, ha messo in allarme anche l’ISS, preoccupato che, avendo così sottostimato il quadro epidemiologico nell’Isola, l’ha così assegnata alla zona verde.
IL FATTO – La storia che riportiamo oggi non riguarda il Covid, almeno direttamente, ma ruota ancora una volta intorno alla ormai endemica carenza di personale del nosocomio nuorese, costretto così a uno stato di sofferenza, sofferenza che poi si riflette sui servizi erogati, e sulla salute dei pazienti che in molti casi si vedono costretti a rinunciare alle cure o a lunghe estenuanti attese prima di usufruirne. Ed è quanto accaduto alla protagonista della vicenda.
Maria (questo non è il suo vero nome, ovviamente) ha 81 anni, è cardiopatica, diabetica e invalida per problemi di deambulazione. Vive col marito, anche lui anziano, in un paese del circondario; ad agosto cade in casa propria, si infortuna e viene ricoverata nel reparto di Ortopedia. Nei giorni scorsi una nuova caduta, e un nuovo infortunio, questa volta al ginocchio. «Per qualche giorno ho tentato di curarla io – racconta la figlia – con del ghiaccio e una pomata; questa mattina, però, ho visto che l’ematoma si stava espandendo e il ginocchio gonfiandosi e così ho chiamato il reparto di Ortopedia dove un’infermiera mi ha suggerito di portarla da loro ma passando per il Pronto soccorso».
«Ci siamo preparate – prosegue – e alle 9,30 eravamo all’ingresso del PS “sporco/Covid” dove ci hanno consegnato un biglietto verde; da li abbiamo raggiunto il PS “pulito/non Covid”, che si raggiunge dall’entrata principale dell’ospedale. Prendiamo l’ascensore e siamo nella sala d’attesa. Qui ci sono già quattro persone in codice bianco, quindi non urgenti. Attendiamo. Ogni tanto ci fanno spostare perché deve passare un paziente Covid diretto in radiologia. Da allora alle 18,00 vediamo passare ben sei pazienti Covid e di volta in volta ci dobbiamo spostare da li. Alle 18,15 esce un’infermiera la quale ribadisce che mia mamma è un codice bianco e che c’è ancora da aspettare, nonostante siamo li dalle 9,30 del mattino. Aggiunge che, purtroppo, ci sono solo lei e un medico i quali, prima, si devono occupare di un altro codice rosso».
«Mi viene in mente di fare un tentativo e salire direttamente in reparto: chiedo ai presenti di dare un’occhiata a mia mamma e così faccio. In Ortopedia un medico gentilissimo ascolta il mio racconto e, ricordando che mia mamma era stata una loro paziente mi dice di farla salire. Qui le incidono il ginocchio e applicano un drenaggio. Al termine del medicamento andiamo via. Sono le 20,00 e finalmente possiamo fare rientro a casa».
«È vergognoso – conclude la donna amareggiata – che ci sia così poco personale. Il Pronto soccorso è fatto per le urgenze non per essere trasformato un reparto Covid. Io vorrei chiedere al presidente della Regione Solinas, all’assessore Nieddu e a chi di competenza di venire a vedere di persona, di parlare con le persone e di stare lì dalla mattina alla sera come abbiamo fatto noi e tante altre persone oggi e ogni giorno, e loro non hanno certo 81 anni! Dopo voglio vedere se diranno ancora che va tutto bene ed è tutto sotto controllo».
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