Quello che si sta vedendo oggi con la pandemia di Covid-19 non è “nulla di nuovo” rispetto a quanto accadde durante l’epidemia di Spagnola nel 1918-1919: come allora non c’erano né farmaci né vaccino contro il virus, e dapprima si dedicarono i grandi ospedali alla cura dei malati. Poi quando furono pieni, si fece lo stesso con quelli più piccoli e infine si requisirono strutture sul territorio per ospitare un numero di malati sempre maggiore.
A spiegarlo è Alessandro Porro, docente di Storia della medicina della Statale di Milano. «Quello a cui stiamo assistendo oggi con il Covid-19 si è in parte già visto con la Spagnola. L’unica differenza è che allora, per via della Prima Guerra mondiale in corso, da noi non si poterono applicare le misure di isolamento e distanziamento sociale che sono state messe in campo ora. Ma quarantena e cordoni sanitari comunque non sono certo una novità, visto che venivano adottati ricorrentemente durante le pestilenze, controllando persone e merci che entravano nelle città e bandendo chi veniva da aree malate. La peste è stata una presenza costante nel tempo che si riaccendeva ogni decina d’anni circa. Basti pensare che alla famosa epidemia di peste nera del 1348, ne seguirono altre nel 1363, 1381, 1394, 1400, poi per tutto il secolo successivo, e ancora nel 1522, 1529, 1557, 1565, 1575 fino alla peste del 1630».
Anche la rilevazione dei morti e comunicazione alle autorità, come fa in questi giorni la Protezione Civile, non è nuova. «A Milano – conclude Porro – nel 1400 si rilevava ogni giorno il numero dei deceduti e comunicava alle autorità, che quindi conoscevano la situazione in tempo reale».