Il sole che filtra dalle fronde degli alberi, le onde che si infrangono accarezzando la riva, padre e figlio per mano.
Inizia così il docufilm L’estate di Gino, del regista Fabio Martina, proiettato questa mattina all’Auditorium ISRE Giovanni Lilliu.
È la storia di un padre, don Gino Rigoldi, e di una vacanza con i suoi “figli” in Sardegna.
Ragazzi che guardano l’orizzonte e forse iniziano a scorgere un futuro. Sono giorni di quotidianità, quella di un papà, che, anche se non biologico, sveglia i suoi figli per affrontare il nuovo giorno. La colazione, il giornale, i riti quasi scontati che hanno il sapore della bellezza e della cura paterna. Emerge, chiarissimo, il dualismo luce /ombra, sofferenza e gioia che danzano sfiorandosi, con le difficoltà e le problematiche di questi giovani che guardano con nuova fiducia al domani.
L’incoraggiamento di Don Gino, dentro e fuori dalle sbarre, non è stucchevole: è frutto di un lavoro costante, di interazione, di educazione. Si stenta a credere che quell’energia provenga da un solo uomo; è la celebrazione della parte bella dell’uomo, quella che accoglie, quella che non ha paura dell’altro e tende la mano.
«Il padre – afferma don Rigoldi nel film – è una fantasia del passato per la maggior parte di loro, che hanno bisogno solo di qualcuno che gli dia valore e li ascolti, poi si parte. La cosa bellissima è quando poi li vedi camminare con le loro gambe!».
«È un film che che racconta la paternità. Don Rigoldi è un eroe dei nostri tempi – spiega Fabio Martina – che accoglie nella sua cascina, a casa sua le fasce deboli. Questo film nasce come risposta ad un film precedente, dove dei ragazzi picchiano, esercitano una violenza irrazionale: uno spaccato di ragazzi senza padre. Volevo capire se l’atto di violenza è qualcosa di inspiegabile e ho incontrato don Gino. Nel mio film precedente ha fatto la parte di un clochard ed abbiamo capito di voler fare qualcosa insieme. Era in partenza e l’ho seguito in Sardegna».
L’insegnamento di don Gino è attualissimo e sintetizzabile in una scena in cui afferma: «Non aver paura degli altri: questa cosa si chiama amore».
F.Becchere