«Sempre la stessa risposta: «non abbiamo posto, “ma pregheremo per voi”»
Già questo mondo non trabocca di generosità, ma se a convincersene sono i giovani, sopratutto quelli che credono il contrario, è una cosa triste, oltre che grave. È ciò, che è accaduto a quattro studentesse dell’ultimo anno dell’Istituto Alberghiero di Bosa, Miriana, Elisa, Aurora ed Alessia, che pensavano fosse naturale soccorrere una persona in difficoltà, ma sono state costrette a cambiare idea, ma, soprattutto, hanno dovuto tristemente constatare che proprio le istituzioni o gli enti che più dovrebbero venire incontro a chi ha necessità, non fanno un bel niente.
La storia, che si è svolta nello spazio di tre ore, è iniziata qualche giorno fa, quando le ragazze, tutte originarie della Planargia, si sono recate, all’uscita dalla scuola, nella piazza dove solitamente prendono il pullman che le riporta a casa. E qui comincia la vicenda. In un angolo della piazza, accasciata su se stessa, circondata da alcune valige, sta una donna, che piange.
Spontaneamente le ragazze si avvicinano e le fanno delle domande. La donna non risponde, ma si esprime a gesti. Che fare? Istintivamente le ragazze le offrono da mangiare e da bere. La donna però continua ad essere triste. Qualcuno le informa che è lì da alcuni giorni dorme per strada.
Le ragazze non concepiscono che una persona possa vivere in quello stato. A chi rivolgersi? Si telefona ai Carabinieri, ma questi rispondono che non possono far niente, ed non si muovono dalla caserma. Che fare? Forse un’altra istituzione: la Sanità. Si telefona all’ambulanza, (che arriva dopo un’ora). Questa volta la donna parla, i soccorritori la conoscono, scambiano due battute, ma anche loro dicono di non poterci nulla.
Si apprende che è rumena e, l’anno scorso, lavorava a Cuglieri come badante, ma è stata licenziata perché beveva. Che fare? Certamente sarà la Carità a risolvere la situazione.
Le studentesse si armano di coraggio e, soprattutto, di forza muscolare per trasportare le valige. Si va in un istituto di suore vicino alla piazza. Anche qui una delusione: la suora portinaia dice che non possono assumersi questa responsabilità. Un po’ più avanti, sempre con le valige, cè il Cottolengo: non ci sono posti letto disponibili né personale maschile per la sorveglianza notturna, ( sic). In alto, non lontano dal comune c’è un convento di suore. «È una salitaccia», ma pazienza! Ancora con le valige, che pesano sempre di più, si arriva a destinazione.
Anche qui la stessa risposta: «non abbiamo posto, “ma pregheremo per voi”», che sembra essere il massimo risultato conseguito nel pomeriggio. Qualcuna pensa ai servizi sociali del Comune: ma è chiuso. Ultima speranza, sempre con le valige che oramai pesano una tonnellata, la Casa di Riposo: stesse risposte. Oramai è tardi, si deve rientrare nei paesi di origine. Si lascia la donna al proprio destino. Si torna a casa amareggiate e, l’indomani, ci si rivolge alla Dirigente dell’Istituto che chiama i giornalisto per vedere se possiamo raccontare la storia.
«Vorremmo lanciare un appello- ci dice alla fine Miriana, la più grande del gruppo- Una persona, qualunque essa sia, è sempre una vita e si deve dare una mano, fino a quando non si risolve la situazione». E non sa che questa è proprio una delle questioni che accendono i dibattiti in questo periodo
P.G.Vacca
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