La recente grave tragedia del catastrofico crollo del ponte Morandi di Genova (APPROFONDISCI), ha riproposto di conseguenza ancora una volta il problema circa la sicurezza delle grandi opere pubbliche del nostro sistema stradale nazionale.
Si tratta in gran parte di opere colossali, fatte per sfidare i tempi e le forze della natura in territori a volte con gravi rischi geologici. Una sfida questa della moderna tecnologia, che ha sempre richiesto grande professionalità da parte di esperti progettisti e imprese specializzate nel settore dell’impiego del “cemento armato”. Un settore appunto, quello del “cemento armato” che da oltre un secolo è protagonista assoluto per la realizzazione di tali opere. Un mondo quest’ultimo, fatto di ciclopiche costruzioni civili e industriali, dove nel passato ha dettato legge, competenza e professionalità un grande sardo, l’ingegnere di Ittiri Giovanni Antonio Porcheddu, un vero pioniere del settore, che agli inizi del Novecento con grande perizia e capacità tecniche per primo nella storia ha progettato e realizzato imponenti opere stradali e industriali, tanto da passare alla storia come “il re del cemento armato”. Una tecnica quella dell’uso del “cemento armato”, messa in atto per la prima volta in Italia dal grande tecnico sardo con un sistema da lui stesso realizzato (Porcheddu oltre che progettista era anche un grande impresario), il «Sistème Hennebique», che prevedeva un conglomerato cementizio armato internamente con profilati in ferro disposti e rafforzati con apposite staffe. Un sistema ideato dal Porcheddu insieme a un suo collega francese, Françoise Hennebique, di cui lo stesso ingegnere sardo nel 1892 ottenne la concessione esclusiva e l’applicazione del brevetto in Italia. Si trattava di un metodo innovativo e rivoluzionario per i tempi, che destò non poche diffidenze e perplessità anche da parte di progettisti suoi contemporanei, ma che l’ingegnere ittirese portò avanti con forte determinazione supportata da una caparbietà tutta sarda.
Forte della sua esperienza l’ing. Porcheddu con la sua impresa nel 1901 realizzò i grandi silos granari di Genova; nel 1903 lavorò per la ricostruzione del campanile della basilica di San Marco di Venezia (crollato nel 1902); nel 1906 realizzò lo stabilimento industriale Eternit di Casale Monferrato; nel 1910 con la sua impresa costruì in soli 10 mesi lo Stadium di Torino (al periodo il più grande stadio d’Italia e un dei più grandi al mondo); nel 1922 progettò l’architettura strutturale dello stabilimento FIAT Lingotto di Torino, primo grande esempio di edilizia industriale in Italia.
Il nome di Giovanni Antonio Porcheddu nel campo delle grandi opere pubbliche, resta tuttavia indissolubilmente legato alla progettazione e realizzazione del colossale ed elegante Ponte del Risorgimento di Roma (costruito tra il 1909 e il 1911), che si slancia sul Tevere collegando il piazzale delle Belle Arti con la piazza Monte Grappa (quartieri Flaminio e Della Vittoria). Si tratta di una delle più ardite opere in cemento armato (ancora perfettamente integro) eseguite in Italia, che fa bella mostra di se nonostante gli oltre cento anni di vita (la cosa porterebbe a riflettere, visto il recente caso di Genova). Il ponte, che si slancia per oltre 100 metri di luce con uno sviluppo complessivo di 159 e una larghezza di 21, fu considerato all’epoca il più grande al mondo (a campata unica). La grande opera fu inaugurata solennemente l’11 maggio del 1911 (per celebrare i 50 anni dell’Unità d’Italia) tra alcune perplessità e dubbi da parte di scettici circa la tenuta di una struttura di tali dimensioni come mai si era visto fino allora. A fugare i dubbi degli increduli circa la tenuta del ponte intervenne lo stesso Porcheddu, che per l’inaugurazione dell’opera fece smantellare l’imponente impalcatura servita per la costruzione della grande campata che sovrastava il fiume Tevere assistendo all’operazione su di una fragile barchetta di legno con i due i suoi figli minori, Giuseppe e Ambrogia.
Il tenace ingegnere sardo aveva vinto la sua grande sfida, forte della sua salda esperienza e della sua collaudata professionalità, tenendo conto (e certo non è cosa da poco) della totale mancanza della tecnologia, che attualmente supporta progettisti e impresari. Indubbiamente attualmente il pensiero va al grande ponte, che ancora in piena efficienza resiste alle abbondanti piene del Tevere nonostante e sue trascorse 107 primavere, mentre altri ponti costruiti in tempi più recenti (e certo con una tecnologia molto più avanzata) crollano provocando immani disastri. Ma il pensiero va anche a opere minori presenti nel nostro territorio (lungi da fare il confronto con le opere citate di gran lunga più grandi) che la cronaca ci ripropone puntualmente in tempi recenti, come il caso del ponte di Oloè nei pressi di Oliena, che tra crolli (con vittime) e parziali e temporanee riparazioni attende una risoluzione finale e definitiva.
Giovanni Antonio Porcheddu nacque a Ittiri (SS) il 26 giugno del 1860. Orfano di entrambi i genitori si trasferì giovanissimo a Sassari, dove intraprese l’attività di muratore per poter affrontare le spese destinate agli studi per conseguire la licenza tecnica inferiore. In seguito grazie a un sussidio ottenuto dall’Amministrazione Provinciale e l’aiuto economico di alcuni parenti il giovane proseguì gli studi presso l’Istituto tecnico superiore, e grazie a una borsa di studio ebbe la possibilità di frequentare i corsi di ingegneria presso l’Università di Pisa e in seguito presso il Politecnico di Torino dove ottenne la laurea nel 1890. Nel 1891 il giovane Giovanni Antonio conseguì anche la laurea in ingegneria elettronica.
Dopo una breve parentesi in Sardegna, dove svolse l’attività di amministratore di miniere, Antonio Porcheddu fece ritorno a Torino dove nel 1892 conseguì una terza laurea in ingegneria mineraria. Si sposò a Torino con Amalia Danesi dalla quale ebbe sette figli (tra questi Beppe Porcheddu, che divenne noto ceramista, pittore e illustratore). Nel 1895 in collaborazione con un socio aprì uno studio tecnico a Torino. Giovanni Antonio Porcheddu morì nel capoluogo piemontese il 17 ottobre del 1937.
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