I carnevali e le maschere tradizionali della Sardegna: il nuovo saggio di Dolores Turchi

Solitamente il carnevale è legato a un periodo di divertimento dove tutto è concesso, anche gli eccessi e la trasgressione.

In Sardegna a tutto questo si aggiunge quel qualcosa che sa di misterioso, quel fascino di un suggestivo rito ancestrale carico di richiami alla tradizione agro-pastorale fortemente radicata nel territorio, e in parte ancora sconosciuta. Questa è l’essenza del carnevale tradizionale in Sardegna.

Recentemente, I carnevali e le maschere tradizionali della Sardegna, è diventato argomento dell’ultimo libro della nota scrittrice olianese Dolores Turchi, pubblicato dalla Newton Compton editori.

In questo suo lavoro antropologico, Turchi, saggista, ritenuta una delle più qualificate studiose di tradizioni popolari della Sardegna (sempre per lo stesso editore ha pubblicato: Leggende e racconti popolari della Sardegna, Maschere, miti e feste della Sardegna e Lo sciamanesimo in Sardegna), guida il lettore in uno straordinario viaggio sulle tracce e le origini dei carnevali tradizionali sardi, dei riti ancestrali tramandati nei secoli in Sardegna e l’influenza degli antichi culti dionisiaci.

«Ho cercato di approfondire in questo libro – scrive l’autrice nell’introduzione – il carnevale sardo nei punti più oscuri e meno comprensibili a prima vista. Alcune particolarità, specialmente per quanto riguarda la gestualità, col tempo sono quasi scomparse, ma restano dei “segni” dell’antico rito ancora rilevabili dall’attento osservatore. In tutti i paesi dell’area mediterranea e non solo, inizialmente il culto di Dionisio era il medesimo, ma, come avviene per tutte le cose, col passare dei secoli ovunque vi sono delle modificazioni, ogni comunità lo ha adottato alle proprie esigenze, cambiando nomi, abbigliamento, esibizioni».

Michele Pintore con Dolores Turchi (foto N.Catte)

La prima parte dell’opera tratta dei carnevali e delle maschere tradizionali sarde più famose, a cominciare dai Mamuthones di Mamoiada, che con sos Issocadores sono i protagonisti di quello che può ritenersi il più noto carnevale barbaricino; a seguire sos Turpos e sos Eritajos, ultima testimonianza rimasta delle diverse antiche maschere di Orotelli; su Battileddu di Lula, maschera recuperata nel 2003, grazie a testimonianze risalenti agli inizi del Novecento; su Boe e su Merdule, che rappresentano il bue e il suo guardiano, e che con sa Filonzana sono i protagonisti dell’antico carnevale di Ottana; sos Urthos e sos Buttudos del carnevale di Fonni riesumato negli anni Novanta; sos Murronarzos e sos Maimones, attuali maschere superstiti del carnevale di Olzai; su Bundu di Orani, maschera il cui nome richiama il malefico nel carnevale del paese alle falde del monte Gonare; Maimone di Sarule; sos Intintos di Ovodda, e inoltre tante antiche maschere recuperate in tempi recenti, il cui nome resta ormai relegato al passato.

La seconda parte del libro della Turchi si apre con il capitolo, “Un carnevale dionisiaco”, per passare poi in successione ai capitoli: “La più antica testimonianza delle maschere di Samugheo”; “Austis – Sos Colonganos e s’Urtzu; “Le maschere di Gadoni”; “La maschera di Neoneli – Sos Corriolos”; “La maschera di Cuglieri – Sos Cotzulados”; “S’Eritaiu”, “La maschera di Sorgono – Is Agrestes”; “Le maschere di Ortueri – Is Sonaggiaios”; “Ad Ardauli risorgono le vecchie maschere”; “L’importanza dell’edera”; “S’istranada a Oliena”; “Il fuoco di Sant’Antonio e i carri navali di Torpè”; “Ollolai e sas Mascaras limpias”; “La maschera di Lodè”; “Lardajolu”; “L’impianto della vigna”; “Il fantoccio”; “Il carnevale di Bosa”; “Le maschere bianche”; “Il carnevale di Oristano”; “Il bue muggente” e “I baccanali di Roma”.

In chiusura del libro la Turchi mette in evidenza il legame del culto da cui traggono origini le maschere dei vari paesi della Sardegna, un’origine che si perde nella notte dei tempi ma che accomuna i forti legami con la campagna, di conseguenza con la fertilità della terra e la necessità della pioggia, elemento indispensabile per la sopravvivenza. Ogni carnevale si concludeva, infatti, con l’auspicio di una buona annata. Tutto questo, dall’analisi fatta dalla studiosa di tradizioni popolari «a dimostrazione che quasi tutti i carnevali della vecchia Europa e del bacino del Mediterraneo, replicavano il medesimo rito, si può prendere come esempio l’Ungheria – scrive la Turchi, la cui maschera tradizionale è il Busò, presente soprattutto nel carnevale di Mohàcs. La maschera facciale è incisa su legno di sambuco, dipinta col sangue del bue e porta le corna di toro o di montone».

Con quest’ultima opera, la saggista olianese si congeda dal suo numeroso e affezionato pubblico di lettori (nella sua lunga carriera, l’autrice ha pubblicato numerosi libri con la sua casa editrice IRIS e con la rivista Sardegna Mediterranea da lei diretta). Un congedo quello dell’autrice, che la sua Oliena ha voluto esternare con una manifestazione di simpatia organizzata nelle scorse settimane dalla Leva 1988 del Comitato San Lussorio e che ha voluto testimoniare la gratitudine del suo paese e di tutti gli appassionati lettori che l’hanno seguita con interesse in tanti anni.

Michele Pintore

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Salvatore