Addio a Gillo Dorfles: aveva 107 anni

Salvatore

Addio a Gillo Dorfles: aveva 107 anni

venerdì 02 Marzo 2018 - 14:47
Addio a Gillo Dorfles: aveva 107 anni

Un ritratto di Gillo Dorfles

Nel 1910, anno della sua nascita, la sua Trieste faceva ancora parte dell’Impero austro ungarico.

Nel corso della sua lunga vita, aveva compiuto 107 anni il 12 aprile, Gillo Dorfles, scomparso oggi a Milano, si è preso il lusso di sperimentare di tutto, dalla medicina alla filosofia, l’arte, l’architettura, la musica, la moda. E ha conosciuto praticamente tutti, da Italo Svevo quando era impiegato in una fabbrica di vernici a Eugenio Montale di cui era intimo, fino a Lucio Fontana, che ha contribuito a lanciare. Ha preso il caffé con Cesare Pavese e battibeccato con Salvatore Quasimodo, è stato ospite di Frank Lloyd Wright e amico personale di Renzo Piano. Ma, soprattutto, ha avuto la fortuna e la forza di essere incredibilmente lucido e attivo fino all’ultimo, tanto da partecipare a metà gennaio alla Triennale all’inaugurazione di Vitriol, una personale dedicata ai disegni realizzati tra il 2010 e il 2016. In parte sarà stata una questione di dna, certo. Come per quel suo corpo magrissimo e per quella sua splendida faccia, scolpita dalle rughe. Ma il suo segreto, forse proprio l’elisir che gli ha garantito una cosi’ lunga e bella vita, è sicuramente nella passione e nella curiosità per il mondo e per il presente, nella capacità di essere ‘contemporaneo’ fino al midollo, senza cedimenti.

Giorgio Casati e Gillo Dorfles

Giorgio Casati e Gillo Dorfles

“Ho dimenticato metà secolo e sto dimenticando l’altra metà perché voglio vivere nel futuro”, rispondeva pacato, qualche tempo fa ad un intervistatore che aveva fatto l’errore di ricordargli l’età. Arte, gusto, miti, mode: decano dei critici italiani e lui stesso pittore di talento, Dorfles è stato uno straordinario testimone e protagonista del Novecento e oltre. Nato a Trieste da padre goriziano e madre genovese, laureato in medicina e specializzato in psichiatria, una grande passione anche per i cavalli, Angelo detto ‘Gillo’ ha da subito preferito l’attività di pittore e l’impegno come critico e studioso d’arte, che lo ha portato poi ad insegnare estetica nelle Università di Firenze, Trieste, Venezia e Milano: ”L’arte è l’unica passione a cui sono rimasto sempre fedele, sin dalle prime folgorazioni dell’astrattismo di Klee e di Kandinsky”, ha ripetuto spesso. Anche se l’interesse per la psichiatria, le sue letture attente di Jung e Rudolf Steiner, rimarranno una sorta di filo conduttore in molti suoi scritti. Nel 1948, insieme con Atanasio Soldati, Gianni Monnet e Bruno Munari, è stato tra i fondatori del Mac – Movimento per l’arte concreta e nel 1956 ha contribuito alla realizzazione dell’Adi (Associazione per il disegno industriale). La sua bibliografia è sterminata come i suoi interessi. In tanti decenni di attività ha scritto monografie di artisti (da Bosch fino a Toti Scialoja), ha pubblicato studi sull’architettura e un saggio che ha fatto epoca sul disegno industriale (Il disegno industriale e la sua estetica, 1963). Con un libro diventato un cult ha insegnato agli italiani cos’è il kitsch (Il Kitsch, antologia del cattivo gusto, 1968).

E nel 2012, a 45 anni di distanza dall’uscita di quel testo che fu una pietra miliare per comprendere l’evoluzione del cattivo gusto nell’arte moderna, la Triennale di Milano gli ha reso omaggio con una mostra (Gillo Dorfles. Kitsch oggi il Kitsch) per descrivere il fenomeno in tutte le sue più recenti articolazioni. Non solo un testimone, insomma. Ponendosi come figura trasversale e non canonica, Dorfles ha contributo in maniera sostanziale al rinnovamento nel dopoguerra dell’estetica italiana, del modo di vedere l’arte e la produzione di oggetti del nostro tempo, attento alla fotografia come alla pubblicità, spesso provando ad affrontare l’aspetto socio-antropologico dei fenomeni estetici e culturali, facendo ricorso anche agli strumenti della linguistica. Accademico onorario di Brera, Fellow della World Academy of Art and Sciences, Dottore honoris causa del Politecnico di Milano e dell’Universitad Autonoma di Città del Messico, ha ricevuto tantissimi premi, dal Compasso d’oro dell’associazione per il design industriale (ADI) al Premio della critica internazionale di Girona, Matchette Award for Aesthetics. Negli ultimi tempi si era concentrato sulla passione per l’alchimia, suo vecchio pallino. Vitriol, l’enigmatico personaggio che aveva inventato nel 2010 e che ha dato il titolo all’ultima rassegna della Triennale, nasconde nel suo nome uno degli acronimi più usati dagli alchimisti. “Ognuno deve costruirsi il suo Vitriol”, spiegava paziente al cronista, “la ricerca della Pietra Filosofale è quella del mistero che sta alla base della vita”. La sua, confidava, la vedeva come una pietra “piccola, poco pesante”. E forse, chissà, alla fine l’ha anche trovata.

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