Anche nel 2018, tempo in cui l’informazione viaggia veloce sul web, un giornalista dovrebbe avere comunque il dovere morale nei confronti della società nella quale opera: avere il senso della notizia, mantenere la giusta distanza da essa e rispettare i pilastri del diritto e dovere di Cronaca: verità, continenza e pertinenza.
Lunedì sera, la tragica morte del piccolo Francesco Porcu è coincisa con un passo indietro dell’informazione isolana: il diritto di informare ha sconfinato nello sciacallaggio e la cosa più grave che è stato fatto strumentalizzando la morte di un minorenne e quindi violando anche i principi della Carta di Treviso, documento e codice deontologico varato ed approvato nel 1990 dall’Ordine dei giornalisti e dalla FNSI – di intesa con Telefono Azzurro che dovrebbe costituire per chi opera nei media il Vademecum per la tutela dei minori.
Recita il punto sei del documento: “nel caso di comportamenti lesivi o autolesivi, suicidi, gesti inconsulti, fughe da casa, microcriminalità, ecc., posti in essere da minorenni, fermo restando il diritto di cronaca e l’individuazione delle responsabilità, occorre non enfatizzare quei particolari che possano provocare effetti di suggestione o emulazione… ”
Appurato, infatti, che il piccolo 13enne si possa essere procurato la morte attraverso un colpo di fucile, una volta che l’episodio è uscito alla ribalta della cronaca per la sua tragicità ma anche per il ruolo pubblico che il padre del ragazzo ricopre, bisognava avere rispetto e porsi un limite non solo deontologico ma anche morale per rispettare il dramma che la famiglia in queste ore sta vivendo.
Inizialmente, infatti, quando si è appresa la notizia, si è pensato ad un fatto accidentale: un ragazzino che giocando con un’arma ha fatto partire inavvertitamente il colpo che lo ha ferito a morte. Poi si è fatta sempre più concreta l’ipotesi del suicidio e si è andati oltre la notizia cadendo di stile e scivolando nell’abominio dello sciacallaggio.
Il concetto si può sintetizzare citando testualmente le parole che lo studioso Nicolo Migheli scrive su questo dramma nel proprio profilo social: «continua il festival osceno di notizie sulla disgrazia di Galtellì, nome, cognome, fotografia della giovane vittima, ipotesi sulla morte. Nessun rispetto per il dolore dei parenti, nessuna sensibilità o riserva. Tutto spiattellato nei minimi particolari. Forse certi “giornalisti” non se ne rendono conto, ma essere morbosi fino alla crudeltà vi rende illeggibili. Per carità, smettetela».
Per carità, dico io, nessuno vuole insegnare il mestiere a nessuno e nessuno si vuole mettere in cattedra ma come giornalista e a nome di tutta la nostra redazione poniamo una domanda: cosa aggiunge alla notizia aver usato ripetutamente termini forti come “suicidio” – “sparandosi una fucilata” oppure “avrebbe deciso deliberatamente di uccidersi”… Niente! Semplicemente aumenta lo strazio dei familiari e il dolore indelebile di un padre e di una madre che stasera salutano con tanti interrogativi il proprio figlio.
Nessuno vuole chiudere gli occhi ma si vuole portare a una riflessione: senza tacere il diritto di cronaca a cui ogni giornalista si deve attenere, la notizia si poteva e si doveva dare in modo asciutto e in quello stile inglese che permette di informare la cittadinanza su un fatto che ha scosso la comunità locale e nazionale evitando sensazionalismi e qualsiasi forma di speculazione presi dalla frenesia di vendere dieci copie in più del proprio giornale o guagnare un like in più sui social.
Senza sforare nel patetico, a questo punto, rivolgo un invito ai colleghi, invito che so già che sicuramente cadrà nel vuoto: oggi rispettiamo con il silenzio, che a volte è più forte di ogni parola, il dolore dei genitori, dei parenti e degli amici di Francesco. Non scriviamo alcunché dei funerali, non pubblichiamo foto o frasi che verranno dette in questa circostanza. Facciamolo e ci renderà non solo giornalisti ma uomini e donne migliori.
Sonia Meloni © Tutti i diritti riservati