Il Padre padrone del film Palma d’oro a Cannes 40 anni fa era anche un poeta. Abramo Ledda, padre di Gavino, autore del celebre romanzo autobiografico a cui si sono ispirati i fratelli Taviani, scriveva bellissimi versi in logudorese. Ha iniziato a comporre ottave, spinto dalla popolarità del figlio. Lo racconta, insieme ad altri dettagli inediti, il documentario del regista cagliaritano Sergio Naitza, prodotto da Karel/Rai Sardegna, che debutterà sabato 4 novembre alla Festa del Cinema di Roma, sezione Riflessi, alle 16. Un’emozionante ricostruzione del backstage della celebre pellicola, Palma d’oro al festival di Cannes, 40 anni dopo. Naitza – giornalista e critico cinematografico – dà voce ai protagonisti di quell’esperienza memorabile.
Nel cast del documentario, Paolo e Vittorio Taviani, Omero Antonutti, Saverio Marconi, Gavino Ledda, Nanni Moretti al suo debutto e una ventina di comparse. La fotografia è di Luca Melis, il montaggio di Davide Melis. Sull’onda della memoria frammenti di testimonianze legate alla lavorazione del film fanno riemergere ricordi, persone, luoghi, atmosfere di una esperienza collettiva rimasta nel cuore di tutti. Fra i ricordi emerge un pranzo a Siligo (Sassari).
«Abramo Ledda era a capotavola, c’era anche tutta la famiglia – rievoca Paolo Taviani – ad un tratto disse: ‘Gavino è un artista, ma non è così difficile’. Aprì un cassetto, tirò fuori un quaderno e ci lesse una poesia bellissima che lui aveva scritto». A conferma di ciò arrivano le parole di Gavino Ledda: «dopo il successo del libro e del film, mio padre ha iniziato a poetare, scriveva in ottave. Praticamente si mise a sfidarmi sul mio terreno, quello artistico, in maniera rispettosa e intelligente. Col tempo ci siamo riconciliati e alla fine ci siamo capiti fino in fondo. Lesse il libro e non si arrabbiò: Gavino ha detto la verità, disse. E fu contento anche della versione cinematografica dei fratelli Taviani». E Vittorio Taviani aggiunge: «Padre Padrone è stato un incontro col mondo, qualcosa di fondamentale nella nostra vita. Appena abbiamo letto la storia di un bambino isolato dal mondo, che a 20 anni spacca il silenzio e diventa professore di glottologia per comunicare con gli altri, abbiamo capito che ci rappresentava: perché il cinema è il nostro linguaggio, il nostro modo di comunicare. E in questo film si sono riconosciuti uomini, donne, bambini di tante latitudini del mondo»
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