Sono i due punti chiave della lettera inviata da Federico Ventagliò, di 33 anni, originario di Villaperuccio in Sardegna, al pontefice, il quale non getta la spugna e persegue il suo sogno, una battaglia iniziata due anni fa quando il giovane sempre per le stesse ragioni, si incatenò all’inferriata del seminario vescovile di Iglesias. “Carissimo Papa Francesco, padre e fratello in Cristo Gesù”, così inizia l’appello al Vaticano. E poi tutta la lunga storia che parte da lontano. “Ho sentito subito – esordisce – fin da bambino, il desiderio di consacrarmi al Signore e sono entrato nel Seminario diocesano nel 1998″. Poi gli anni di studio, l’esperienza al servizio di una comunità di recupero.
Con la speranza di raggiungere quel traguardo tanto desiderato. Mai – racconta l’aspirante – mi sono state fatte osservazioni riguardanti la mia vita spirituale, o annotazioni di carattere etico-morale, perché la mia vita è trasparente e fedele al Vangelo e alla dottrina della Chiesa”. Ma il sacerdozio non arriva. “Mai saputo il perché”, si lamenta Ventagliò che, a questo punto, vede sfumare il suo sogno. Ma c’è dell’altro: “Vero che questa è una decisione peculiare del Vescovo. L’accetto, pur con il dolore nel cuore – scrive -. Ma ora mi viene negata anche l’idoneità per l’Insegnamento della Religione Cattolica nelle scuole elementari, medie e superiori, costringendomi all’accattonaggio e alla fame. Mi chiedo: perché farmi fare dodici anni di seminario e non fermarmi prima?”. Nella conclusione il giovane parla di disperazione e futuro senza speranza.
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