Uno studio italiano fa luce sulle origini degli europei
Il Dna dei più antichi abitanti della Sardegna continua a ‘vivere’ a distanza di oltre 12.000 anni: l’eredità genetica di quei primitivi cacciatori e raccoglitori, giunti sull’isola dal Vicino Oriente e dall’Europa Occidentale sul finire del Paleolitico, è stata scoperta nel genoma dei sardi moderni grazie ad un maxi studio coordinato dall’Università di Pavia e dall’Istituto di Ricerca Genetica e Biomedica (IRGB) del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR).
I risultati, pubblicati su Molecular Biology and Evolution, dimostrano che l’isolamento plurimillenario ha reso il DNA dei sardi unico in Europa e capace di svelare importanti indizi sul popolamento del Vecchio Continente.
«Finora si pensava che i primi agricoltori, giunti in Europa tra i 12mila e gli 8 mila anni fa, avessero spazzato via le più antiche popolazioni di raccoglitori e cacciatori – spiega Alessandro Achilli, professore associato di genetica all’Università di Pavia. Con questo studio genetico sui sardi, invece, abbiamo dimostrato che nelle popolazioni europee moderne è ancora possibile trovare tracce importanti degli antenati paleolitici, il cui pool genetico potrebbe essersi conservato soprattutto nell’area del Mediterraneo, in corrispondenza del rifugio franco-cantabrico nei Pirenei e in Italia».
La scoperta è frutto di un ampio progetto di ricerca chiamato Italgenomics, ideato insieme all’Università di Perugia nel 2012 con l’obiettivo di ricostruire la storia dell’Italia confrontando il DNA antico e moderno di persone e animali domestici. Lo studio più ampio relativo agli umani è proprio quello condotto in Sardegna, che ha portato ad analizzare il DNA mitocondriale (cioè ereditato per via materna) di 3.491 sardi moderni e di 21 sardi antichi, provenienti da siti archeologici datati da 4 a 6 mila anni fa.
I dati molecolari così ottenuti sono stati poi confrontati con un database mondiale di oltre 50.000 genomi moderni e circa 500 antichi: tra questi anche il famoso uomo di Similaun, Oetzi, che non ha mostrato di avere particolari ‘parentele’ con il popolo sardo, al contrario di quanto ipotizzato in precedenza.
Dall’analisi dei dati è invece «emerso che l’80% dei genomi mitocondriali dei sardi moderni appartiene a gruppi genetici (aplogruppi) presenti solo in Sardegna» e risalenti ai periodi post-Nuragico, Nuragico e Neolitico, come spiega Anna Olivieri dell’Università di Pavia. Una piccola ma significativa percentuale, pari al 3-5%, mostra invece «un’età chiaramente antecedente all’arrivo dell’agricoltura nell’isola, circa 7.800 anni fa. Questa osservazione – precisa Francesco Cucca, dell’IRGB-CNR – rappresenta l’evidenza genetica più chiara fin qui ottenuta di un popolamento della Sardegna durante il Mesolitico, come sostenuto da alcuni ritrovamenti archeologici».
In particolare, i due aplogruppi più antichi (denominati K1a2d e U5b1i1) potrebbero essere arrivati dal Vicino Oriente e dall’Europa Occidentale. «Questo – conclude Cucca – suggerisce che i primi abitanti della Sardegna provenivano da regioni geografiche differenti».
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