La coraggiosa donna nuorese che 26 aprile 1868 al grido di «Torramus a su connottu» e «Ecco su sambene de su poveru» guidò la folla esasperata durante i moti popolari che misero a ferro e fuoco il Municipio di Nuoro.
Gli avvenimenti, i protagonisti e un video dei luoghi dove si svolsero i fatti dello storico evento che ebbe un valore emblematico per tutta la Sardegna
Un secolo e mezzo fa, esattamente il 26 aprile del 1866, ebbero inizio a Nuoro i primi moti popolari, che due anni più tardi, il 26 aprile del 1868, sarebbero culminati con la famosa sommossa popolare nota come de su Connottu, dal grido di battaglia di una popolazione esasperata, che, a distanza di 80 anni dal 1796 (quando i sardi scesero in piazza al canto di Procurad’ ‘e moderare Barones sa tirannia), dimostravano che la storia di un popolo in lotta contro le oppressioni si ripeteva ancora.
Viaggio all’interno del Palazzo Martoni, vecchia sede del Comune di Nuoro, in cui avvennero i Moti “de Su Connottu”
Quel 1796, quando i sardi protestarono contro la tirannia feudale, a guidarli c’era Giovanni Maria Angioi. A Nuoro invece nel 1868 il popolo scese in piazza guidato da una popolana, Pasqua Selis Zau (Nuoro, 1808-1882), nota Paskedda Zau, e il motivo scatenante fu ché l’amministrazione comunale di allora, per “fare cassa” (che in parte doveva concorrere a finanziare gli inglesi della Compagnia della Ferrovie che allora realizzavano le prime strade ferrate sarde), in base alle disposizioni di Legge (2252 del 1865) fu autorizzata ad abolire i diritti di “ademprivio” (diritto di uso civico, ovvero uso comune da parte dei cittadini residenti dei territori comunali) e di mettere in vendita al migliore offerente i terreni comunali interessati.
Tutto questo comportava di conseguenza a pastori e allevatori nullatenenti la mancanza dell’unica fonte di reddito e di sostentamento. Il 2 ottobre del 1867 ci fu l’estrazione dei lotti in base alle richieste fatte dagli interessati nell’attesa di definire la vendita. Il sindaco di allora, don Francesco Gallisay–Serra, all’approssimarsi del 24 aprile del 1868, data ultima imposta per essere messi in vendita i terreni comunali, e consapevole del grande malcontento che questo avrebbe arrecato alla popolazione, si dimise dall’incarico.
A Gallisay subentrò nella carica di sindaco l’avvocato Salvatore Pirisi–Siotto, che restò in carica fino al 23 aprile del 1868; poi si dimise, non prima però, di aver disposto l’affissione di un pubblico manifesto in cui, previa delibera comunale s’intimava ai pastori di lasciare liberi entro tre giorni i terreni comunali che dovevano essere messi in vendita. Per la popolazione non restava altro che tentare di ottenere l’annullamento della delibera. Il clima a Nuoro si faceva sempre più pesante.
Intanto da parte di influenti personaggi componenti della massoneria locale, tra i quali il nobile don Gavino Gallisay-Serra (fratello del sindaco dimissionario) e il dott. Giuseppe Cottone, la notte tra il 21 e 22 aprile si inscenò una manifestazione di protesta sotto le finestre dell’Episcopio contro il vescovo di Nuoro mons. Salvatorangelo Demartis (accusato di essere un sobillatore del popolo contro le istituzioni) al grido di: “morte al papa, abbasso i Paolotti, vivano i massoni e fuori il vescovo”. In città c’era già aria di sommossa.
La domenica del 26 aprile, nel piazzale della Cattedrale si era formata una piccola folla di cittadini, nei pressi della sede della Sottoprefettura, nell’estremo tentativo di un intervento di revoca del provvedimento da parte del Sottoprefetto Giovanni Pes di San Vittorio. Verso mezzogiorno la sommossa era già in atto. Una folla vociante proveniente da diversi punti della città (inizialmente di circa 300 persone) si mosse verso Palazzo Martoni, allora sede del Comune di Nuoro (attuale Via Chironi 5), ad aizzarla era Paskedda Zau, una popolana nuorese che con una bandiera in mano (in realtà si trattava di un bastone cui aveva issato una sottoveste) guidò la turba al grido di “torramus a su connottu”. Spettatore dello storico evento fu il poeta in limba Salvatore Rubeddu (1847 – 1891) il quale, allora ventunenne, assistette ai fatti traendone poi spunto per una delle sue poesie più famose: Passio – A su Connottu.
Dalla poesia di Rubeddu, scritta in un ermetico latino maccheronico (volutamente provocatorio, dal momento che il poeta era notoriamente considerato un convinto anticlericale), è possibile una ricostruzione dei fatti e i ruoli dei vari protagonisti: a cominciare da Paskedda Zau che arringò la folla, e che risulta che fosse spalleggiava da sua figlia Tonia, che, evidentemente trovandosi di fronte a qualcuno, che a quanto farebbe pensare Rubeddu intendeva sbarragli il passo, a sua volta gli gridò: «Arga de muntonarju, non sun sos benes de babbu tuo!» (Immondezza da letamaio, quello che chiediamo non sono certo i beni di tuo padre). Sempre secondo a quanto scritto da Rubeddu, nello scontro ci fu un intervento di Paskedda, che rivolta alla figlia (ma riferendosi evidentemente a qualcuno che intendeva ostacolarla) disse: “Veni deretro Toniam, sa cosa l’isperto deo» (tu Tonia fatti da parte, perché la questione me la voglio sbrigare io). Ci fu quindi l’assalto a Palazzo Martoni (sede del Municipio), in cui Paskedda afferrò con i denti dei documenti, esclamando: «Ecco su sambene de su poveru» (ecco il sangue del povero). Sempre stando al testo di Rubeddu, dal rione di San Pietro giunse una popolana, Tonia Porcu, al grido di «Iscubilae» (venite fuori dall’ovile), rivolto ai cittadini nuoresi, e ancora rivolta ai componenti del Consiglio Comunale: «Chi non si ponzan cussa abba santa» (Che non si segnino con quell’acqua benedetta), e poi «A fora su Cossizzu» (Fuori il Consiglio Comunale). E ancora, una popolana Mariantonia mamoiadina (dal paese di provenienza) «Corfu e balla, nos cherene a sa limusina» (Che vi possa colpire un colpo di palla – di fucile-, vogliono ridurci all’elemosina).
Intanto una certa Tonia Ormena si fece avanti con una scure per abbattere la porta del Municipio, mentre suo figlio Berritta, armato di fucile, attaccava la truppa e mentre un tal Ghisau venne alle mani con il capitano dei Carabinieri, Demontis al colmo dell’ira nel tentativo di strappare la bandiera che sovrastava l’ingresso, ne ebbe un forte pugno in testa, tanto da procurargli una ferita sanguinante.
Un tale Pintor prese invece la bandiera e corse gridando «A su connottu, a su connottu», mentre Moritta dalla casa adiacente dei Corbu (casa dell’avvocato Pasquale Corbu, adiacente a Palazzo Martoni), rivolta a un certo Turudda (evidentemente di parte avversaria) gridava: «Bae ja t’arranzo deo» (Vedrai che t’aggiusto io). A questo punto la folla fece irruzione nella Casa Comunale mettendola a soqquadro, e, disarmata la Guardia Nazionale prese a devastare con l’evidente volontà di distruggere la documentazione dei piani di lottizzazione dei terreni comunali. Tra l’altro nel rogo finirono anche i registri di Stato Civile, la cui compilazione era stata avviata il primo gennaio del 1866.
Nel tentativo di sedare gli animi più esasperati ebbe un ruolo determinante il comandante della locale compagnia dei R. Carabinieri, il capitano Giacomo Brunero, che provvide anche a numerosi arresti.
In totale gli arrestati furono 69, tutti accusati di aver causato disordini e saccheggio, mentre 10 furono gli accusati di esser stati promotori e istigatori: il nobile don Gavino Gallisay – Serra, il medico dott. Giuseppe Cottone, lo scrivano Gavino Corbu, l’insegnante Giuseppe Floris Puggioni, il proprietario Pasquale Guiso Manca, l’impiegato Michele Deledda, il sacerdote teol. Giovanni Nieddu, il sacerdote teol. Ignazio Serra, il sacerdote Sebastiano Deledda (zio di Grazia Deledda) e il sacerdote Salvatore Veracchi. Gli imputati furono inviati a processo presso la Corte d’Appello di Cagliari.
Ben presto però ci si rese conto che in sostanza la sommossa non era stata altro che una guerra tra poveri dettata dalla mancanza di lavoro e per la sopravivenza; per cui su intervento del deputato Giorgio Asproni il ministro di Grazia e Giustizia Defilippo decretò la concessione di un’amnistia che fu firmata il 29 novembre del 1868 da Vittorio Emanuele II.
Tuttavia, nel 1871, quando a ricoprire la carica di sindaco di Nuoro, fu chiamato nuovamente l’avvocato Salvatore Pirisi-Siotto, visto il perdurare dell’occupazione dei terreni comunali da parte dei pastori non acquirenti, questo fece affiggere nuovamente un manifesto dove s’intimava lo sgombero entro 15 giorni dei lotti già assegnati in precedenza, per essere messi a disposizione dei nuovi acquirenti.
Gli assegnatari perfezionarono i pagamenti, e quindi successivamente, nel 1872, con rogito del notaio Cossellu di Orani la vendita dei lotti poteva considerarsi conclusa.
Michele Pintore
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Bell'articolo, storia molto interessante. Ho guardato il video in cui si vede Palazzo Martoni e, da sarda, non posso fare a meno di notare che la questione è sempre la stessa: non ci curiamo di preservare la memoria. Perché un edificio con una storia così importante viene dimenticato? Perché farlo crollare sotto i nostro occhi quando potrebbe diventare un sito visitabile? Altrove avrebbero fatto pagare il biglietto e imposto il veto di fotografia. Da noi ci crescono dentro i fichi