È un mercato illegale ma secondo un gruppo di agronomi e imprenditori presto non lo sarà più.
Perché, dunque, non cominciare a mettere le basi per la commercializzazione e la vendita? Stiamo parlando di marijuana, sostanza stupefacente la cui coltivazione e vendita in Italia è illegale, anche se il suo consumo è molto diffuso.
Il dibattito da tempo ferve sull’opportunità di renderla legale come già avviene in altri Paesi, ma la strada non è certamente spianata, anche alla luce delle precisazioni odierne del ministro della giustizia Orlando che ha escluso la depenalizzazione della coltivazione che non sia per uso terapeutico.
L’identità di chi sta organizzando il futuro franchising della marijuana non è dato saperlo, per ovvi motivi, ma gli obiettivi sono chiari: presidiare un mercato – di enorme potenzialità – che prima o poi si aprirà, e quando i tempi saranno maturi arrivare prima degli altri.
Nasce così il marchio Nativa, che per il momento ha messo la sua idea solo online, per capire “l’interesse del mercato a questa proposta di business” ma anche “per anticipare altri player ed entrare così per primi nell’immaginario dei consumatori con un brand forte, elegante e legato alla tradizione di eccellenza agroalimentare che da sempre caratterizza il nostro paese agli occhi di tutto il mondo”.
«Siamo certi che il 2016 sarà l’anno della legalizzazione della marijuana – spiega il management di Nativa – e abbiamo deciso di scommettere su questo. Una volta che il mercato sarà emerso saranno tante le possibili strade per interfacciarsi con questa opportunità e noi abbiamo passato buona parte del 2015 a studiare la migliore strategia di marketing concretizzando un’idea di business che avevamo in mente da tempo, studiandone costi, criticità e fattibilità».
Un’idea che prevede negozi monomarca nelle principali città italiane; coltivazioni anche all’aperto in zone come Chianti, Salento e Cilento; prodotti 100% naturali e sviluppati in terra (niente coltivazione idroponica); solo marijuana fumabile.
Si tratta, spiegano, di «elevare la marijuana a prodotto di eccellenza, che unisce la sapienza indiscussa dei nostri agricoltori a un know how specifico che l’Italia ha sempre avuto nella coltivazione della cannabis».
Le stime, ricordano, dicono che gli italiani consumano ogni anno circa 3 milioni di kg di cannabis. Un sondaggio di Nativa (su 500 consumatori abituali) ha evidenziato come il 65% degli intervistati sia costretto ad accontentarsi di quello che trova e che, se potesse, preferirebbe scegliere cosa fumare come in altri paesi nel mondo (85%). Si dicono privi di senso di colpa (76%) e ritengono che l’attuale legge sia senza senso (85%).
La qualità che il consumatore italiano riesce a ottenere è spesso di basso livello ma si ignora cosa si stia fumando se non affidandosi a verifiche empiriche come l’aspetto, l’odore, la presenza di semi, l’effetto. Quello su cui quasi tutti i consumatori di marijuana concordano è la pessima informazione che i media comunicano sull’argomento