Confindustria: per il momento no alla cassa integrazione ma molta preoccupazione per il destino dei lavoratori
Sono iniziate stamattina le complesse operazioni di spegnimento della centrale elettrica di Ottana.
Le procedure sono scattate in modo automatico in concomitanza con il termine del regime di essenzialità in scadenza domani 31 dicembre 2015. La decisione, pur drammatica e sofferta, non è inattesa e si è resa necessaria per far fronte al mutato assetto produttivo determinato dalle nuove condizioni.
Nonostante la fase sia molto delicata e piena di incognite e variabili tecniche, per il momento l’azienda ha deciso di non ricorrere alla cassa integrazione e sta mettendo in atto tutti gli accorgimenti per salvaguardare l’occupazione e far pesare il meno possibile tale drammatica situazione sui lavoratori.
Oltre che per il futuro della centrale costretta a fermarsi per la prima volta dopo oltre quarant’anni di attività, Confindustria manifesta estrema preoccupazione per l’impatto gravissimo che la fermata dell’impianto avrà sulle altre aziende del sito, sul Consorzio industriale e a cascata sull’intero polo produttivo.
In questo momento molto critico è fondamentale che insieme a tutti i soggetti coinvolti, dall’azienda alle parti sociali dalla Regione al Ministero, si faccia quadrato al fine di gestire nel migliore dei modo un quadro così complesso, nell’interesse delle aziende e dei lavoratori e con l’obiettivo comune di garantire un futuro al sito industriale di Ottana – Bolotana.
Dalle ultime notizie di fonte istituzionale, risulta che alcune novità potrebbero esserci entro metà gennaio, quando Terna dovrebbe concludere le valutazioni tecniche in merito al servizio di riaccensione.
Lo spegnimento delle centrali a combustibili fossili dovrebbe (dovrebbe) essere la logica conseguenza nella realizzazione di un serio programma di razionalizzazione dei consumi e di installazione di (veri) impianti di produzione da fonti rinnovabili. All’interno di un quadro strategico generale, per l’intero territorio italiano o anche solo per la Sardegna, la programmazione dello spegnimento delle centrali dovrebbe avvenire in concomitanza con la ricollocazione della forza lavoro in attività consone per il territorio.
Di fatto, la Sardegna è diventata terra di conquista degli speculatori, grazie anche ai governi complici che si sono succeduti nel corso degli ultimi decenni. Proliferano gli (inutili) impianti cosiddetti a fonte rinnovabile, a discapito del territorio, dell’ambiente, dei lavoratori e delle tasche dei cittadini, che devono sostenere gli smisurati incentivi utili a garantire la vita di mostri che mai si potrebbero mantenere da soli.
L’assenza di un piano strategico regionale apre le porte a gravi inefficienze e ad aberrazioni come questa, in cui ci si dispera per la chiusura di uno stabilimento altamente inquinante e in cui i vantaggi sono sempre e solo per i pochi noti.
La razionalizzazione dei consumi, la sostituzione di impianti obsoleti con altri più efficienti e tecnologicamente all’avanguardia, servirebbero ad accantonare fondi utili per investire in settori strategici dove collocare vecchie e nuove professionalità. Niente di tutto questo è stato fatto o è in programma. E oggi si suona l’allarme per un’emergenza solo presunta, in totale assenza di alternative. Si lasciano a casa altri lavoratori. Ma già sono cominciate le promesse per trovare soluzioni che saranno in realtà altri ricatti per le famiglie e il territorio