La Sardegna piange una delle sue maggiori testimoni degli anni Cinquanta e Sessanta
Scrivo malvolentieri queste poche righe, Marianne non amava si parlasse di sé, preferiva fossero le proprie immagini a parlare di ciò che i suoi occhi avevano visto e il suo sguardo documentato, ma il dovere di cronaca…
Marianne ci ha lasciato. Ci ha lasciato ieri pomeriggio in punta di piedi.
Molti, istituzioni comprese, oggi non conoscono neppure il suo nome e non sanno neppure cosa possa aver rappresentato il suo lavoro per la nostra terra; oppure, forse, hanno preferito far finta di non saperlo mentre chi lo sapeva e ne aveva strumenti, probabilmente, non ha fatto abbastanza per riservarle la tranquillità negli ultimi anni di vita; ma la vita è così, dura (come era il suo carattere) e ingrata (al contrario di quanto lei è stata soprattutto nei nostri confronti).
Marianne Sin-Pfältzer (classe 1926) è stata testimone assidua e acuta come nessun altro, per la fotografia, della Sardegna degli anni Cinquanta e Sessanta, una testimone capace di “vedere” e documentare ciò che rimaneva di una società antica qual’è stata quella sarda e capace anche di farlo senza la paura di disattendere alle aspettative degli editori, che per i reporter rappresentavano la principale committenza, i quali continuavano a richiedere uno stereotipo di Sardegna, la mistificazione di un’isola che volevano ancora arcaica (nel bene e nel male) e immobile nel tempo, nonostante la modernità fosse ormai arrivata a muso duro e penetrata inesorabilmente fino ai villaggi più remoti dell’entroterra. Spirito libero e ironico qual’era, lei anzi provava gusto nel cogliere e mettere in risalto questi aspetti, come l’incontro tra il vecchio e il nuovo o il mettere spietatamente a confronto gli opposti tra loro.
Amava la Sardegna Marianne, forse più di tanti sardi, e ha speso la propria vita per divulgarne la bellezza.
Qui, come rispose una volta che gli chiesi come mai provasse tanto amore per l’Isola, aveva trovato l’armonia. Armonia nella natura, armonia nel rapporto tra l’uomo e la natura e soprattutto armonia nei rapporti interpersonali.
Donna, straniera, al volante di un’automobile (elementi non da poco per quegli anni), sin dai primi anni Cinquanta, iniziò ad avventurarsi da sola per le “strade” dell’Isola, addentrandosi fino a quelle più impervie dei paesi della Barbagia. Ogni anno, uno o più soggiorni di lavoro, poi di nuovo in Germania, per preparare le proprie mostre fotografiche e cercare di trovare un editore che volesse divulgare le proprie storie per immagini. Ogni tanto una puntatina in Russia, negli Stati Uniti, alle isole Hawai, nell’allora Ceylon (Sri Lanka) o in Africa e poi di nuovo in Sardegna.
Appassionata di artigianato, ambito nel quale aveva lavorato sin da adolescente nella sua città natale, Hanau, nei pressi di Francoforte; in Sardegna trovò linfa vitale per i propri scatti, andando a cercare per documentarne le lavorazioni tutti luoghi di produzione dei vari settori, in particolare la ceramica, le tessitura, gli intrecci e gli intagli.
Tutto questo fino alla metà degli anni Settanta, quando la terra che tanto amava la tradì per la prima volta derubandola, per mano di uno sconosciuto (mi sembra di vedere il suo sguardo rattristarsi nel ricordare quell’episodio), dell’intera attrezzatura fotografica: uno schiaffo inaspettato da una terra in cui, nel corso dei suoi soggiorni si era sempre sentita ben accolta, ben voluta e, soprattutto, rispettata; un gesto che non riuscirà mai ad accettare e che la porterà, risoluta, a interrompere la propria attività fotografica per dedicarsi ad altre attività creative.
Pochi i paesi isolani e ancor meno le attività, anche minori, che non ha ripreso con l’amata Hasselblad, sia a colori che in bianco e nero, con occhio attento (soprattutto nel ritratto) e tecnica raffinata, una tecnica carpita a fondo in un breve periodo di frequenza alla Bayerischen Staatslehranstalt für Photographie, l’istituto per la fotografia di Monaco di Baviera e approfondita poi con la pratica sul campo e in camera oscura.
Le pubblicazioni di riferimento per farsi un’idea del lavoro da lei svolto nell’isola negli anni: Sardegna quasi un continente, edito nel 1958 a Cagliari da Editrice sarda F.lli Fossataro; Sardinien, edito nel 1964 a Starnberg da Joseph Keller (e tradotto anche in lingua francese); Sardegna. Paesaggi umani, pubblicato a Nuoro nel 2012 dalla Ilisso Edizioni (con una versione tradotta in lingua tedesca uscita solo pochi mesi fa).
Negli ultimi anni trascorsi nel Capoluogo barbaricino, nonostante i gravi problemi di vista, con la meticolosità che la caratterizzava, Marianne ha continuato instancabilmente a lavorare al riordino del proprio archivio fotografico; fino al 10 di agosto appena trascorso, quando la sua Isola le ha riservato il secondo e definitivo tradimento in occasione del quale è rimasta ferita a morte da un’automobile che l’ha travolta per strada.
Chissà se il suo ultimo desiderio sarà esaudito: «quando non ci sarò più – mi diceva ogni tanto con occhi sereni – vorrei che le mie ceneri fossero sparse nei cieli tra la Corsica e la Sardegna, ma in un giorno in cui spira il vento del Nord, per essere sicura che vadano a disperdersi per sempre sulla mia terra».
Salvatore Novellu © Tutti i diritti riservati
Cun tristura in su coro apo legidu sas peraulas de Novellu po sa morte de custa femina istranza fàtasi sarda.
Deo l’apo connota in sos liberos de sa Ilisso annos fachede. No soe unu criticu fotograficu ma no penso chi Marianne Sin-Pfalzer esserede indesecus a niunuateru fotografu chi ada tribagliadu in Sardigna.
A la agatare in sa santa gloria
a_manca
R.I.P cara Marianne, ricordo con piacere le telefonate e l’unica visita che mi hai fatto. Non ho potuto rincontrarti per motivi personale e ora apprendo della tua tragica scomparsa. Che tu sia finalmente libera come volevi.