«Sassari città che promuove cultura con un’identità sempre più forte e città turistica in grado di attrarre visitatori per il suo patrimonio e per la sua capacità di organizzare grandi eventi».
Lo ha detto l’assessore del Turismo, Artigianato e Commercio, Francesco Morandi, alla presentazione della mostra.
Per la prima volta un’opera di Caravaggio arriva in Sardegna. La mostra “Caravaggio e i caravaggeschi. La pittura di realtà”, allestita nella Sala Duce di Palazzo Ducale a Sassari dal 25 giugno al 30 ottobre, ripercorre, attraverso trenta opere provenienti da due istituzioni della città e da prestigiose collezioni private italiane ed estere, la fervida e affascinante stagione del caravaggismo, che prende l’avvio agli albori del Seicento e si diffonde in Italia a macchia d’olio: da nord a sud, ma anche all’estero, soprattutto tra Francia e Olanda.
Il percorso espositivo inizia da un capolavoro cruciale della produzione giovanile di Caravaggio: la Medusa Murtola, che si presenta come una vera e propria ‘apparizione’. In quel volto di Medusa si riconosce un autoritratto con i lineamenti giovanili di Michelangelo Merisi da Caravaggio, presumibilmente come l’artista doveva essere quando abitava a Milano, ancora nella bottega di Simone Peterzano e già in procinto di lasciare la terra lombarda per giungere finalmente a Roma.
Quelli dipinti sul volto della Rotella sono occhi che si specchiano e si vedono, come Medusa, con i serpenti al posto dei capelli. Occhi terrorizzati come di chi ha visto qualcosa di terribile. Sono gli occhi spiritati di un uomo che non ha paura di niente, che guarda il male, che guarda il fuoco, che guarda l’inferno, che guarda la vita nella sua dimensione più difficile, come dimostrerà nei suoi capolavori che molti artisti guarderanno per scoprire i segreti di una tecnica tanto imitata quanto nascosta. Gli occhi di questa Medusa sono gli occhi di Caravaggio davanti a quello che fino ad allora non era stato possibile vedere, non era stato possibile concepire. Qualche cosa che va oltre l’immaginazione. Siamo agli inizi di un nuovo mondo: 1595-1596. Anni in cui inizia a diffondersi la fama di Caravaggio e la sete di avvicinarsi al suo linguaggio inizia a influenzare molti artisti romani, napoletani e provenienti da nord.
La Medusa mostra gli occhi di Caravaggio, facendo vedere la determinazione del genio che pur non avendo avuto allievi diretti esercita il suo fascino su molte personalità che ne imitano il linguaggio, orientandosi su ambiti compositivi intriganti e originali, mai perdendo di vista la verità e quindi il reale senso delle cose. In questo, la mostra è un omaggio a Roberto Longhi che a partire dalla fine della prima decade del Novecento e nel corso degli anni Trenta, per poi prorompere nel 1951 con la mostra milanese, ha esaltato la figura di Caravaggio riscoprendolo e riconoscendogli un ruolo determinante nella pittura del Seicento. La lezione di Caravaggio sarà ancora pulsante ben oltre la sua morte: tanto è vero che quando negli anni Venti giunge dalla Spagna, prima a Roma e poi a Napoli, Josepe de Ribera per cercare il calore di Caravaggio, ne trova soltanto lo spirito e il suo sentire, attraverso il respiro delle opere romane. In un confronto serrato con i modelli di Caravaggio si trovano in mostra affinità, identità e analogie compositive che si muovono all’unisono in una coralità d’intenti pittorici.
La figura umana calata nel tempo e nello spazio è protagonista assoluta degli interessi di pittori quali Battistello Caracciolo e Giovanni Serodine; il naturalismo muta aspetto nelle accezioni di Pietro Novelli il monrealese, del genovese Gioacchino Assereto e nel calabrese Mattia Preti, punte estreme del caravaggismo, insieme ad Alessandro Turchi detto l’Orbetto. Affascinanti sono le prove pittoriche dei fiamminghi e olandesi presenti in mostra che esaltano i colori e le forme: Hendrick ter Brugghen ed Hendrick van Somer.
Una sezione di grande rilevanza per la giovinezza di Caravaggio è dedicata al genere della natura morta. È noto che arrivato a Roma, nello studio del Cavalier d’Arpino, il giovane Michelangelo Merisi è messo a dipinger fiori e frutta e già Federico Zeri aveva cercato di individuarne una produzione di opere attribuibili al maestro lombardo. La figura che più di altri è vicina allo spirito caravaggesco è Tommaso Salini di cui in mostra potrà ammirarsi una cesta di frutta che apre la suggestione della Canestra di frutta che Caravaggio dipinge proprio nei suoi anni giovanili e che Salini certamente conosce quando porta a termine il suo dipinto.
A Sassari saranno presenti circa otto nature morte e alcune di queste fanno luce sull’attività dell’accademia romana del marchese Giovan Battista Crescenzi, una vera fucina della natura morta caravaggesca, dove lavorarono artisti come Pietro Paolo Bonzi e Giovanni Agostino Verrocchi.
La mostra infine presenta alcune opere inedite di grande bellezza e straordinaria qualità, perché vuole aprire la discussione critica e attributiva su capolavori indiscussi che attendono ancora una precisa identità. È il caso dell’Incredulità di Tommaso, un’opera attribuibile al giovane Vermiglio, che rispecchia un sentimento pregno del caravaggismo mutuato con dolcezza e virtuosismo. Così come sensuale e melanconica è la Maddalena, che presenta una pastosità e un cromatismo vibrante, tipici di Serodine. Infine, per la prima volta si potrà ammirare da vicino il Martirio di San Gavino, attribuito a Mattia Preti, ma forse eseguito di concerto dai due fratelli calabresi, Gregorio e Mattia.
Un percorso, dunque, che dagli anni ’90 del Cinquecento giunge fino agli inizi del Settecento, con Petrini e Trevisani, con una carrellata di figure che raccontano la realtà e con essa la vita, con gli occhi aperti su Caravaggio.