Un’arringa pesantissima quella proposta questa mattina da parte dell’avvocato Lai: «in questo processo non è stata data la possibilità alla difesa di interrogare il super testimone»
«Ci siamo trovati di fronte a indagini leggere, basate su confidenze e sulle dichiarazioni di un anonimo, elementi che hanno dettato tempi e modi delle verità di un fatto atroce che ha calpestato l’innocenza di un uomo».
Come previsto, per oggi, l’avvocato Mario Lai ha affilato le unghie e messo in campo tutte le armi a propria disposizione per difendere il suo assistito Francesco Rocca, accusato di essere il mandante dell’omicidio di Dina Dore, sua moglie, avvenuto il 26 marzo 2008.
Una requisitoria pesantissima e filosofeggiante quella di Lai, nella quale l’avvocato si è soffermato a lungo sul fatto che le indagini della Polizia di Stato, portate avanti dai due dirigenti della Squadra Mobile Fabrizio Mustaro e Leopoldo Testa fino a ottobre del 2012, sono rimaste bloccate fino alla comparsa della famosa missiva anonima ricevuta in quella data da Graziella Dore, missiva che – ha evidenziato Lai – secondo gli inquirenti «ha fornito la chiave di svolta che ha portato ad adottare provvedimenti di misura cautelare nei confronti di Rocca».
Dopo 4 anni dall’omicidio per gli inquirenti era arrivata la svolta: il supertestimone Stefano Lai racconterá la confessione dell’amico Pierpaolo Contu – condannato sia in primo che in secondo grado come esecutore materiale del delitto – che dirá a Lai di essere stato lui a uccidere Dina Dore su mandato di Rocca. Nel mezzo però, il 29 ottobre, l’agente scelto Antonello Cossu, che negli atti risulta ricevere le rivelazioni del confidente, rivelerá importanti particolari sull’omicidio. «Se l’anonimo si togliesse il cappuccio qui verrebbe fuori la veritá – assicura il difensore – di quella veritá non abbiamo paura, abbiamo paura degli incappucciati». Quindi attacca l’agente Cossu: «l’anonimo e il confidente sono la stessa persona, ma in un processo penale chi ha ricevuto la confidenza è obbligato a rivelare il nome del confidente, altrimenti é di intralcio alle indagini».
«Nel corso di questo processo, in fase di dibattimento, non è stata data la possibilità alla Difesa di ascoltare il super testimone Stefano Lai, sentito solo in fase di indagini, fatto questo che ha costituito un pregiudizio giudiziale per valutare l’innocenza di questo uomo – ribadisce Lai – dunque la giustizia è stata affidata a confidenze, ad anonimi, a un poliziotto scelto e non al Diritto e a prove concrete».
«Non é stato neppure consentito in questo processo di accertare l’identitá di Ignoto 1, il profilo genetico trovato sulla scena del crimine. Un numero adeguato di esami del dna avrebbe consentito di individuare con certezza il colpevole, lo dice il luminare Emiliano Giardina, perito nominato dalla famiglia Rocca».
«Adesso ai giudici popolari la responsabilità di valutare la verità».
Dopo il monito finale, giunto al termine di una mattinata estenuante Lai ha detto di essere molto stanco chiedendo che si riprendesse domani alle 9.00. La sentenza è attesa prima di Pasqua
© Tutti i diritti riservati