Processo Dore. L'accusa chiede il massimo della pena per Rocca: l'ergastolo

Sonia

Processo Dore. L'accusa chiede il massimo della pena per Rocca: l'ergastolo

lunedì 30 Marzo 2015 - 13:14
Processo Dore. L'accusa chiede il massimo della pena per Rocca: l'ergastolo

Francesco Rocca (© foto S.Novellu)

Francesco Rocca con l'avv. Mario Lai (© foto S.Novellu

Francesco Rocca con l’avv. Mario Lai (© foto Cronache Nuoresi)

I dubbi, la ricostruzione e, infine, la consapevolezza prima della richiesta

Il garage, le telefonate, l’allarme.

Il massimo della pena, ossia l’ergastolo, è quanto chiesto questa mattina dal Pubblico Ministero Danilo Tronci per Francesco Rocca, il dentista di Gavoi accusato di essere il mandante dell’omicidio della moglie Dina Dore, avvenuto il 26 marzo 2008.

Una requisitoria durissima, quella andata avanti per tutta la mattinata di oggi, iniziata con un’analisi approfondita delle varie fasi del giorno dell’omicidio, per proseguire con la ricostruzione dei rapporti tra Rocca e Pierpaolo Contu (minorenne all’epoca dei fatti e condannato come esecutore materiale del delitto), di quelli tra il dentista e Anna Guiso (sua amante), fino al vaglio dell’intenso scambio di sms tra lui e quest’ultima e tra lui e la Dore pochi prima della del fatto in questione.

«Il dentista Francesco Rocca temeva che la moglie, dopo aver scoperto la sua relazione con l’assistente di studio, Anna Guiso, gli chiedesse la separazione che avrebbe messo a dura prova la sua situazione economica, all’apparenza florida ma che in realtà nascondeva “forti debiti”. Temeva che la moglie ufficializzasse la separazione perché così non avrebbe più potuto ucciderla», è quanto ha sostenuto il PM durante le tre ore di requisitoria.

«Tu non sai che cosa ho fatto io per te» scriveva Rocca alla Guiso dopo la morte di Dina, una frase che secondo il PM stava a significare l’omicidio della moglie. Ed ancora le false piste seminate da Rocca agli inquirenti e le tanti contraddizioni fra le varie deposizioni.

«Non poteva trattarsi di un rapimento in quanto, specialisti del settore non si portano appresso un’arma contundente per prelevare l’ostaggio, all’incolumità del quale tengono sopra ogni cosa, per il fatto che dalla buona riuscita dell’operazione deriva anche la loro ricompensa».

Rocca, secondo Tronci, avrebbe effettuato le ultime telefonate alla moglie certamente dopo la morte di quest’ultima, con ogni probabilità per avere una conferma che il piano fosse riuscito fino in fondo.

«Perché – prosegue il PM – quando torna da Nuoro si ferma all’ingresso del paese?». E «perchè, vedendo da quella curva la propria abitazione a luci spente anzichè allertarsi, giunto in paese l’imputato lascia la macchina in strada recandosi tranquillamente al bar per discutere di affari e solo dopo fà rientro a casa».

«Perchè, poi, davanti alla scena che intravvede dal garage non avverte subito la Polizia ma chiama prima tutti i familiari e i parenti, ovvero Graziella (sorella di Dina), il marito di questa e i vicini di casa?».

«Rocca, ricorda Tronci, nei giorni successivi all’omicidio ha dichiarato alla stampa prima di aver trovato la serranda del garage aperta e, solo in seguito, di averla trovata semiaperta»: in realtà – secondo Tronci – è chiaro che, per non creare sospetti, l’omicidio deve per forza di cose essere stato compiuto a serranda chiusa, serranda che solo a cosa fatta è stata lasciata semiaperta dagli assassini per darsi alla fuga.

«Sul luogo del delitto non sussistevano le condizioni perché qualche individuo mascherato si nascondesse fuori dall’abitazione per attendere la vittima prescelta per il rapimento, dal momento che quel punto è molto in vista e frequentato continuamente oltre che dalla famiglia Rocca, dai vicini e dallo stesso imputato il quale, per la sera del fattaccio aveva fissato diversi appuntamenti nello studio di Nuoro, per ritardare il rientro a casa (tra i pazienti attesi c’era anche la ex fidanzata di Pierpaolo Contu – quasi voler creare un alibi a quest’ultimo –  dettaglio che lo stesso Rocca ha sempre dimenticato di ricordare alcune testimonianze). Gli assassini, dunque, dovevano essersi per forza nascosti dentro il garage e conoscevano benissimo i comportamenti metodici della vittima».

«Quando Rocca è stato indagato per l’omicidio – conclude Tronci – ho avuto delle remore poichè è inverisimile che un padre possa aver esposto la propria figlia, menttendone a rischio l’incolumità, alla mercè degli assassini; dopo che ho letto le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche tra lui e la moglie, invece, mi sono dovuto ricredere consapevole che quest’uomo abbia potuto fare qualunque cosa».

L’udienza riprenderà nel primo pomeriggio con le Parti Civili.

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