Oggi la requisitoria del pm Danilo Tronci
Si è persa forse una grande occasione con il mancato contradditorio tra i super periti della Corte e della difesa, per sapere con esattezza quante persone si trovavano sulla scena del crimine.
Un passaggio fondamentale per aiutare a far emergere in dibattimento la verità processuale.
Ad insinuare il dubbio è il professor Emiliano Giardina, autore della perizia sul dna commissionata dal collegio difensivo di Francesco Rocca, il dentista di Gavoi a processo a Nuoro come mandante dell’omicidio della moglie Dina Dore, avvenuto nel garage dell’abitazione della coppia il 26 marzo 2008.
Giardina, docente di genetica forense all’Università di Tor Vergata di Roma che con le sue analisi ha fatto luce sui delitti di Yara Gambirasio, Simonetta Cesaroni e Meredith Kercher, commenta con l’ANSA il no della Corte d’Assise a mettere a confronto in aula le risultanze della sua perizia con quelle dell’esperto nominato dalla Corte, il prof. Ernesto D’Aloia.
Lavori corposi sul Dna da parte di due autentici luminari in materia, che però non collimano nelle conclusioni.
Le riflessioni di Giardina arrivano alla vigilia della ripresa del processo: oggi si torna in aula per la requisitoria del pm Danilo Tronci. Le analisi erano state disposte per accertare la parentela tra Antonio Lai, il padre del supertestimone, e Ignoto 1, una persona non identificata il cui Dna era stato trovato nel profilo misto, ovvero insieme a quello della vittima, sulla scena del crimine.
«A differenza del prof. D’Aloia, che ha trascurato l’ipotesi di parentela, avrei affermato nel contradditorio – spiega Giardina – che i numeri, sebbene piccoli, suggeriscono la presenza di parentela tra Ignoto 1 e Lai. Ovvero ci dicono che la probabilità che Ignoto 1 sia un parente di Lai è maggiore rispetto alla probabilità che non lo sia. Un dato che consente di cercare tra i parenti di Lai il profilo genetico corrispondente. Poteva essere un’ipotesi investigativa, invece non è stata percorsa».
L’esperto della difesa parte da un dato: «In questo processo abbiamo una persona condannata come autore materiale del delitto (Pierpaolo Contu, all’epoca minorenne, ndr) e un profilo genetico presente sulla scena del crimine che non corrisponde a quella persona. Possiamo pensare che il giovane condannato sia innocente o che non fosse solo, ma sappiamo con certezza che al momento dell’omicidio nel garage di casa Rocca, dove si è svolto il fatto, c’era una persona che può aver ucciso, aiutato l’assassino o che quanto meno ha visto. Questa persona non viene cercata. Ciò che posso dire in base alla mia esperienza – prosegue il superesperto – è che il numero dei campioni analizzati sul caso di Dina Dore, credo intorno agli 80, è irrilevante se si pensa che in altri procedimenti si analizzano migliaia di campioni. Il caso di Gavoi, dove ci sono solo 2.400 abitanti, sarebbe stato molto più semplice: i numeri si sarebbero ridotti, togliendo gli anziani, le donne e i bambini, e si poteva arrivare con un margine elevato a trovare quella persona, o quanto meno non avere scrupoli di aver lasciato qualcosa di intentato».
Il docente chiarisce che «il Dna è un elemento di prova e ogni qualvolta sia presente un profilo genetico sulla scena del crimine, lo Stato italiano ha il dovere di cercare con tutti i mezzi il soggetto con il profilo genetico corrispondente».
La sentenza è attesa per la prossima settimana. Ma sarà la Corte a decidere, concluso il dibattimento, se ritirasi subito in camera di consiglio o decidere un rinvio per aspettare la pronuncia della Cassazione sul ricorso di Rocca dopo la bocciatura della sua richiesta di ricusazione della Corte di Nuoro pere avergli impedito, a suo dire, di difendersi “in un processo giusto”.