Il ritratto fotografico ha assunto diversi significati nel corso del ‘900: se i ritratti negli studi di posa degli anni ’20 e ’30 volevano rappresentare una reale agiatezza, tipica delle classi governanti e di una borghesia che sempre più attribuiva al medium fotografico la funzione di massimo rappresentante della propria immagine, quelli effettuati nei paesi dai fotografi ambulanti dimostrano una presa di coscenza anche da parte delle classi popolari, una sorta di riconoscimento in cui il ritratto fungeva da status symbol. Gli anni ’40, gli anni della guerra, sono stati un periodo di transizione; mentre è dagli anni ’50 e ’60 che, a pari passo con il boom economico, anche da noi, in Sardegna, nell’entroterra e in Baronia si sviluppa una passione che andrà a formare un esercito di fotoamatori armati di piccole reflex giapponesi, tedesche, americane e sovietiche.
Fotografare l’infanzia, da sempre, ha avuto la pretesa di creare figure ideali, immagini in cui vengono riposte speranze per il proprio futuro e in cui vengono espresse precise posizioni rispetto alla reale esistenza. La salute e il vestito buono, la festa laica e religiosa, il ritratto di gruppo familiare e scolastico, non sono solo formule beneauguranti o documenti provanti la propria condizione, bensì dei veri e propri codici compitabili e leggibili da chiunque, oltre ogni differenza di ceto o cultura. Senza nessuna preparazione in particolare, la vecchia nonna, ricevendo per posta il ritratto dei nipotini emigrati in Germania, capirà della loro salute in base ai minimi particolari di un orologio in bella vista o di un taglio di capelli ordinato, un grembiulino pulito con il colletto inamidato davanti a una cartina geografica è una prova che il bambino “sarà studiato”, una bambina che prende il caffè con le proprie bamboline e le amichette “sarà una buona padrona di casa” e cos’ via.
È anche vero, e prova ne sono diverse immagini presenti in questa raccolta, che non sempre la povertà poteva essere celata all’obbiettivo “obiettivo” di una macchina fotografica: spesso un buco in un vestito, i piedi nudi o le mani e il viso sporchi di terra, non potevano essere nascosti. Ma la volontà del fotografo “regista” , soprattutto quando si parla di professionisti e non di fotoamatori, è fondamentale per dare all’immagine un risultato ben preciso. Se Corimbi di Orosei, Mossa di Galtellì, Guiso di Nuoro o Todde di Siniscola (solo per citare alcuni dei fotografi che per decenni hanno battuto il territorio baroniese) avevano l’interesse di assecondare i committenti e di rappresentare una società più ricca di quello che era in realtà, un fotografo come Carlo Bavagnoli, di cui il Comune di Loculi ha realizzato l’importantissima esposizione, negli stessi anni ha realizzato un reportage sull’estrema povertà che affliggeva il territorio, mettendo a nudo le evidenti difficoltà che esistevano nell’inseguire quella rinascita che pareva non potesse mai arrivare. Quindi chi era in malafede? Chi, da ruffiano, ha creato ad hoc dei documenti faziosi? Da un punto di vista fotografico la risposta è: nessuno. Semplicemente, i primi fotografavano molto spesso la bella occasione, il giorno importante, la festa (tutto quasi sempre in una posa studiata e rigorosa), il secondo si è immerso in una quotidianità di sofferenza, andando a cercare l’immagine che potesse essere rappresentativa della civiltà degli ultimi, in un’ottica da reportage, da giornalista d’inchiesta. E’ raro trovare immagini di questo secondo genere nei nostri album di famiglia per il semplice motivo che nessuno vuole farsi ritrarre in una situazione d’indigenza! La fotografia familiare è il massimo esempio di quel filone noto come foto ricordo, principio fondante dell’iconografia che oggi vediamo quotidianamente nei profili Facebook o che conserviamo gelosamente nelle gallerie digitali dei nostri smartphone e tablet. Dobbiamo passare alla storia come belli, felici e benestanti, quanto meno tendiamo a rappresentarci nel modo che più ci compiace!
“Pitzinnos de Baronia”, prima mostra nata dalla collaborazione tra il Comune di Loculi e l’Archivio Fotografico Popolare, è composta da sessanta immagini raccolte negli ultimi mesi nella scuola primaria di Irgoli e nelle case di molte famiglie che hanno messo a disposizione della collettività il proprio passato, facendo loro l’idea che in ogni individualità c’è intrinseca la storia di un territorio, che siamo tutti tasselli che insieme compongono una comunità.
L’Archivio Fotografico Popolare è un progetto di catalogazione e digitalizzazione degli album fotografici delle famiglie della Provincia di Nuoro, che prende avvio nell’Aprile 2014, grazie alla collaborazione tra il Comune di Loculi e il sociologo visuale e catalogatore Gigi Murru: primo passo è stato quello di coinvolgere gli alunni delle classi 4° e 5° della scuola Elementare di Irgoli, studiando per loro un programma incentrato sulla lettura dei positivi fotografici che preludesse a una raccolta delle immagini dei propri album familiari.
Il progetto si svilupperà su due piani distinti e strettamente correlati allo stesso tempo: uno virtuale e uno fisico. Il primo, attraverso la creazione di un sito Internet e l’utilizzo degli spazi sui social network più diffusi, servirà da archivio vero e proprio, luogo di consultazione e di ricerca, contenitore dove verranno inserite tutte le fotografie raccolte e corredate dalle schede di pre-catalogo. Il secondo, il luogo “fisico”, vedrà una stupenda casa del centro storico di Loculi (Sa domo de sas artes e de sos mestieris) divenire punto nevralgico e spazio culturale dove allestire le mostre delle immagini digitalizzate e dove ideare incontri, esposizioni, concorsi e tutto ciò che possa ruotare attorno alla fotografia e alle sue mille sfaccettature.
L’Archivio Fotografico Popolare è aperto alla collaborazione tra tutti i soggetti interessati (ricercatori, privati cittadini, amministrazioni e uffici pubblici, imprese, scuole, centri di aggregazione, associazioni culturali, etc.) affinché possano partecipare in maniera attiva allo sviluppo di questo centro culturale, ricordando che ogni giorno che passa noi perdiamo informazioni sulla nostra storia e che deve diventare un nostro dovere preservarle per le generazioni future.
Partecipare con il proprio privato alla creazione di una memoria collettiva è il nostro motto, tutelare e divulgare questo importante patrimonio comunitario il nostro obiettivo.
La mostra sarà visitabile per tutto il mese di febbraio, il lunedì, mercoledì e venerdì dalla 09.00 alle 13.00 mentre il martedì e il givedì dalle 15.30 alle 19.30.