Da Nuoro la storia commovente di Modesto Melis per commemorare le vittime dell’Olocausto
Novantacinque anni portati bene, gli occhi di un ragazzo di vent’anni ed una storia da raccontare che ha inizio in un paese ogliastrino e arriva nel campo di concentramento di Mauthausen, in Austria.
Il 27 gennaio sarà il giorno della memoria in ricordo della Shoah e delle milioni di vittime uccise durante la seconda guerra mondiale. E niente è meglio di conoscere la storia attraverso le parole di un sopravvissuto. Modesto Melis è anziano ma ha una memoria di ferro.
Lo intervista il giornalista Graziano Canu (l’iniziativa è stata organizzata in collaborazione con Radio Barbagia) davanti ad una gremita platea di studenti emozionati ed increduli dell’istituto Comprensivo numero 3 Mariangela Maccioni di Nuoro.
Negli anni trenta Modesto non è che un bambino. Allevato in campagna fa il servo pastore per poi andare a Carbonia e lavorare in cantiere ed imparare a costruire muri e case. Diciannove anni e tanti sogni infranti dalla cartolina che lo chiama ad arruolarsi nella seconda guerra mondiale con destinazione Piacenza tra le truppe combattenti della Fanteria. Successivamente diventa paracadutista L’armistizio. «Ed è durante il periodo dell’Armistizio che inizio a comprendere realmente il dramma della guerra» continua il testimone. «I tedeschi ci attaccavano. Io iniziai a fare lo sbandato, rubavo per sopravvivere. Scappavo dai tedeschi finchè non mi presero».
«Diventai un prigioniero politico e fui deportato». Treno e vagoni, 125 persone stipate, destinazione Mauthausen. Arrivati.
Poi si evocano sevizie, soprusi e fame subite da Modesto e da tanti che per i tedeschi erano solo un numero e esseri da eliminare. Ricordi di un genocidio di massa che il mondo non può dimenticare e che a distanza di tanto tempo fanno male specialmente se vengono raccontate da chi le deportazioni e lo sterminio le ha vissute in prima persona.
La bimba di tre anni vestita di bianco, uccisa da un tedesco, gettata verso la rete di protezione, «è sparita», racconta a se stesso e agli altri ancora incredulo; la rete l’ha bruciata, folgorata, incenerita.
Oppure la fame, resa dal fante sardo con un semplice aneddoto.«Un padre e tre figli mangiavano da un’unica ciotola. Quello era l’unico pasto che in una giornata tipica nel campo di concentramento si doveva dividere con tante persone. A un certo punto il padre che ha la ciotola in mano si accascia e cade a terra perché ormai è senza forze. A quel punto i figli per non rimanere senza mangiare si preoccupano non tanto di soccorrere il padre morente ma piuttosto di recuperare interamente il contenuto del recipiente» .
«Non eravamo esseri umani». In realtà lo erano, ma il processo di disumanizzazione voluto dai nazisti nei campi era ben riuscito. «Facemmo la doccia appena arrivati e quando fu acqua a bagnarci, sospirammo di sollievo».
Ma Tziu Melis non sapeva ancora che i Nazisti gli avrebbero affidato l’ingrato compito di recuperare i corpi di decine di persone che avevano inalato gas che erano prelevati dalla zona delle docce e poi portati ai forni crematori.
Di tutte le persone ricorda un neonato, ucciso con un colpo di pistola in fronte. La mamma l’aveva salvato dal gas ma il vagito è arrivato alle orecchie dell’ufficiale tedesco che non ci ha pensato due volte ad ucciderlo.
E poi la liberazione, gli americani, il ritorno in Sardegna. «Nessuno mi credeva, la gente non credeva all’esistenza dei lager. Mi prendevano per matto» sorride amaramente.
Ora tutti gli credono. La sua memoria sarà memoria di tanti. Il suo ricordo di una guerra sbagliata, che ha causato 76 milioni di morti, non deve essere dimenticato. Oggi i ragazzi ascoltavano. Qualcuno ogni tanto chiacchierava o mangiava, ma quasi tutti erano rapiti dal suo racconto e ridevano alle sue battute. Ed erano tristi con lui quando il racconto si faceva crudo.
La giornata della memoria, oggi, in una scuola di Nuoro, si è realizzata a pieno. Il seme della conoscenza di una triste vicenda, che ha segnato il genere umano, è stato piantato.
Roberta Pirisi
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