L’11 gennaio scorso Parigi ha visto alcuni milioni di persone scendere in piazza, e tra queste i leader politici di molti paesi, per ricordare le vittime dei recenti attentati terroristici.
Al grido di “Je suis Charlie”, la società occidentale si interroga sull’islamizzazione dei territori europei e sulla libertà d’espressione.
Anche a Nuoro c’è chi parla di Charlie Hebdo. Sono i ragazzi del liceo Classico Asproni, i quali hanno dedicato una giornata di riflessione e di dibattito agli ultimi fatti di cronaca internazionale.
Tre diversi comitati, tre temi distinti e tre anditi gremiti di gente.
Tra le aule si parla di Charlie. Dell’Islam, della Libia, dell’imperialismo americano. Sembra di essere tornati indietro negli anni quando soggetti e oggetti del terrorismo erano diversi. Terrorismo, che strana parola.
Il primo comitato, quello che sembrava essere il meno interessante, in realtà stupisce. La cronaca dei fatti. Quindi tre islamici, no, tre islamici francesi. La ragazza si blocca e chiede agli altri: come li definiamo? Per alcuni sono assassini, per altri terroristi, per altri pedine di un complotto più grande di loro. Come è possibile avessero i documenti appresso e come è possibile nessuno di loro ne sia uscito vivo? Ora non gli si può rivolgere neanche la domanda più ovvia: ma perché l’avete fatto? Come è potuto accadere che una democrazia occidentale, con un sistema di intelligence così strutturato sia caduta sotto le armi di tre civili?
Il secondo ed il terzo comitato d’aggregazione sono rispettivamente sulla libertà d’espressione e sulla tolleranza. La libertà d’espressione è un diritto. Esprimere le proprie idee è un diritto. Esprimere le proprie idee creando un dolore ad altri è ancora un diritto? E la stampa è effettivamente libera nel mondo? L’Italia stessa è definita dalla Freedom House, un paese semilibero, alla stregua di qualche stato africano, la stampa non si limita a riportare i fatti a ad assumere il ruolo di watch dog ma è controllata da un sistema politico che sulla propaganda basa il suo potere. Nel mondo solo una persona su sette vive in un paese in cui la stampa può autodeterminarsi senza alcuna ingerenza esterna, che sia politica o religiosa. I ragazzi si chiedono la motivazione per cui alcuni morti francesi fanno più scalpore di duemila morti in Nigeria, perché alcuni genocidi vengono menzionati dalla stampa di sfuggita, quasi per caso?
Il dibattito è interessante. Ognuno esprime la propria idea anche quando si parla di tolleranza. Forse è meglio parlare di integrazione, dicono alcuni. Gli extracomunitari sono integrati? In Italia? Lasciamo perdere. Qui sono diventati capri espiatori. E in Francia? La Francia ha una storia diversa. Avendo colonizzato parte dell’Africa, nell’800, (algeria, marocco e tunisia sono parte della fetta di torta toccata ai francesi), non li possono più definire come altro da sé. Fanno parte della storia francese perché i francesi stessi l’hanno voluto.
E cosi via. Je suis charlie o Je suis Hamed, i ragazzi si interrogano più degli adulti. Je suis cittadino del mondo e la violenza è sempre da condannare, che sia data da una guerra di religione o da stati potenti che impongono le loro guerre ideologiche, finte importatrici di democrazia.
R. Pirisi
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