Come sono cambiate nel tempo due icone del Carnevale isolano
Fermo restando che il fascino ancestrale del Carnevale barbaricino, con le sue valenze propiziatorie e misteriose, rimane immutato nel tempo, osservando le sembianze che le maschere hanno assunto col trascorrere dei decenni, almeno quelle di cui esiste una traccia documentaria storica (per quanto non le immagini d’epoca non vadano troppo in là nel tempo, in genere gli anni Cinquanta) vedremo che qualcosa in esse è inevitabilmente cambiato.
Due di queste maschere sono i Boes e Merdules di Ottana.
Rispetto a quanto è possibile vedere nelle straordinarie immagini riprese nel 1957 da Fiorenzo Serra (Fiorenzo Serra. La mia terra è un’Isola. Nuoro, Ilisso 2012) noteremo che è avvenuto un mutamento.
È mutato il contesto in cui si muovono le maschere e, soprattutto, sono cambiate le maschere.
Gli scorci ripresi da Serra. infatti, mostrano un paese ancora intatto, neppure sfiorato dalla modernità: case antiche che si affacciano su larghe strade polverose, case in costruzione la cui struttura è ancora in blocchi di pietra.
Boes e Merdules sono solo una parte delle maschere, la minore.
La gran parte di esse, infatti, è rappresentata da uomini abbigliati in variopinti abiti femminili e col volto coperto da una maschera in tessuto e dal fazzoletto, prevalentemente bianco.
Poi ci sono i Boes e i Merdules.
Ma non quelli che siamo ormai abituati a vedere “sfilare” oggi. Sono uomini vestiti con abiti “normali”, tute da lavoro o grossi cappotti. Si differenziano tra loro dalle maschere (con le corna appena accennate quelle dei Boes e senza quelle dei Merdules) e “gli attrezzi del mestiere” ovvero i campanacci, pochi in realtà, per i Boes e la soha, il laccio di cuoio non conciato, utilizzato dai Merdules per catturare i Boes. Un solo Merdule, infine, indossa la mastruca di pelle di pecora.
Le parole di Manlio Brigaglia, recitate dalla voce narrante a commento delle immagini di Serra parlano chiaro:
«Negli ultimi tre giorni di Carnevale quasi tutti i giovani del paese si mascherano, si mascherano come possono, prendendo dal loro guardaroba tutto cio che puo mettere una nota di novità, di allegria, di colore, nella vita di ogni giorno.
I protagonisti della festa sono i Merdules, che girano per il paese alla ricerca di qualche malcapitato che paghi loro da bere. Giovani che portano una maschera scavata nel legno del pero sevatico, che stravolge il viso umano in una smorfia caricaturale, quasi maligna. I Merdules sono armati della sogha, un laccio di cuoio non conciato, e con esse affrontano i loro antagonisti, i Boes, così chiamati perchè portano una maschera bovina, e li catturano e ne diventano padroni.
La storia dell’uomo che cattura il bue è ripetura in questo rito festoso, in cui il suono dei campanacci che i Boes portano sulle spalle e i loro sforzi per liberarsi, sembrano inserire una disperazione primordiale e quasi, bestiale. Sembra che Boes e Merdules sentano di essere protagonisti di una storia antichissima, misteriosa, di una lotta che li ha visti nemici e la cui lotta la cui tensione agonistica è rimasta quasi connaturata alle maschere…».
Le parole di Brigaglia sono avvalorate dagli scatti coevi dell’etnomusicologo danese Andreas Fridolin Weis Bentzon, giunto in Sardegna a bordo del suo sidecar Nimbus, carico di attrezzature per la registrazione del suono delle launeddas, antico strumeno oggetto dei suoi studi. Bentzon fece tappa anche a Ottana e vi produsse poche ma straodinarie immagni, di grande valore documentario che attestano lo stato della tradizione in un periodo in cui essa era ancora pressoché integra.
Oggi, a Ottana, come è accaduto anche negli altri centri dell’Isola in cui il Carnevale attrae migliaia di turisti ogni anno, la maschera ha subito una radicate trasformazione.
Esse si sono uniformate nelle due tipologie principali, Boes e Merdules (sopravvive anche sa Filonzana e, più raro, su Porcu).
Tutti indossano la mastruca; alcuni, pochissimi, vestono l’abito in “vellutino”. Ai polpacci sono comparsi dei “gambali”, anch’essi in pelle di pecora identici alle mastruche. Boes e Merdules, di fatto, si distinguono solo per la maschera (nei primi dotata di corna che nel tempo hanno teso ad allungarsi a dismisura) e per i campanacci (moltiplicatisi nella quantità, nella varietà e nelle dimensioni).
In tempi recenti, poi, anche nel Carnevale ottanese sono comparsi i bambini, Boes e Merdules in miniatura che imitano alla perfezione le movenze degli adulti dei quali ricalcano fedelmente anche l’abbigliamento.
Tutto questo non scalfisce minimamente il fascino del Carnevale ottanese, intatto nella sua essenza.
L’emozione di udire a distanza il suono potente dei campanacci e di veder comparire all’improvviso Boes e Merdules che si dirigono (marcati stretti da altrettanti fotografi che si affannano per catturarne l’immagine più evocativa) con passo solo apparentemente disordinato e scomposto verso il fuoco di Sant’Antonio appena benedetto dal sacerdote, rimane comunque forte.
Esattamente come quella di vedere comporsi e ampliarsi il ballo tondo, oggi esattamente come ieri.
A questo punto, anche per quast’anno, il carnevale puè dirsi ufficialmente aperto.
S. Novellu © Tutti i diritti riservati