Un processo che ha percorso le tappe di un dramma familiare
«L’ho fatto per difendere mia madre». Così Pietro Basile, 20 anni, in uno dei primi interrogatori dopo l’omicidio del padre.
Quella frase è stata ripetuta anche nel corso di tutte le udienze del processo tenutosi a Nuoro.
Nella notte di Capodanno dell’anno scorso, nella loro casa di Bitti, Pietro Basile, non ancora ventenne, esplose tre colpi di pistola contro il padre, Franco, di 42 anni, al termine dell’ennesimo litigio in famiglia: uno di quei proiettili andò a segno colpendo il padre in mezzo al torace.
Oggi, a quasi un anno di distanza, Pietro, occhi e capelli scuri, un ragazzo come tanti, si ritrova in mano una vita segnata per sempre: il Gup Mauro Pusceddu, che lo ha processato con rito abbreviato, ha emesso la sentenza dopo un’ora di camera di consiglio condannandolo a 16 anni di reclusione.
Per lui il PM Giorgio Bocciarelli aveva chiesto 18 anni e 8 mesi di carcere. L’avvocato difensore Elena Ledda è pronta a ricorrere in appello per una condanna che ritiene ingiusta: il legale si è battuto per tutto il processo per il riconoscimento della legittima difesa, negato dall’accusa e oggi anche dal giudice.
Un processo, con rito abbreviato e a porte chiuse (non erano presenti nemmeno i familiari più stretti e la madre Rosalia) che ha ripercorso le tappe di un dramma familiare lungo decenni.
Pietro, fin da bambino, aveva respirato un clima di violenza e assistito a continue liti tra genitori.
Poi è cresciuto e in quel Capodanno del 2014 non ha più retto la situazione, ha impugnato una pistola calibro 7.65, detenuta illegalmente in casa,e ha premuto ripetutamente il grilletto contro il padre.
Compiuto il parricido, poi, si è dato alla latitanza, facendo perdere le proprie tracce per tre giorni.
Diversi gli appelli da parte di familiari, amici, sindaco, parroco e addirittura del vescovo di Nuoro Monsignor Mose Marcia, perchè si costituisca.
Pietro, dà retta a quelle voci e si presenta spontaneamente alle forze dell’ordine. Prima di entrare in cella, però, nel carcere nuorese di Badu ‘e Carros, chiede di poter incontrare la mamma distrutta dal dolore. «Non volevo uccidere babbo».
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