«Nuoro si riscopre città solidale». Cosi Gianfranco Oppo, garante dei detenuti, apre il discorso di benvenuto durante la serata dedicata ad un gruppo di carcerati della casa circondariale di “Badu’e Carros”. L’evento, organizzato nell’ambito del progetto “Ci sono anch’io: educazione al valore dello sport e della cultura”, è stato finanziato dalla R.A.S e promosso dall’Associazione “Donne al Lavoro” in collaborazione con la Lariso (Cooperativa sociale Onlus), il Garante dei detenuti del nuorese, la casa Circondariale di Badu ‘e Carros, gli assessorati alla Pubblica Istruzione e ai Servizi Sociali nonché con il Comune di Nuoro.
L’idea è quella di far incontrare i detenuti con gli imprenditori, di Confindustria e Confartigianato.
Due i presupposti. Il primo dare un’eventuale possibilità di reinserimento a chi ha commesso un errore; il secondo evitare i fenomeni di recidiva che purtroppo accadono se non vi sono networks sociali tali da evitarli. Il carcere vuol dire riabilitazione, non solo per disposizione costituzionale ma per una legge morale e naturale che dovrebbe spingere istituzioni e cittadini in questa direzione.
Tutto questo è stato concretizzato ieri sera al CESP di Prato Sardo, luogo peraltro intriso di passione grazie ai lavori ecosostenibili che riempiono le stanze dipinte di fresco. Due momenti diversi. Il primo prettamente culturale; un mix di risate e commozione grazie a filmati, recitazione, lettura libera di brani e poesie con un unico tema centrale: l’amore per l’altro. Un secondo momento, non meno felice, sia sociale che di condivisione: una cena a buffet, al cui tavolo siedono insieme detenuti, giornalisti, istituzioni, direttrice del carcere, associazioni, magistrato di sorveglianza ed assistenti sociali.
I permessanti, ovvero i detenuti che beneficiano di permessi premio, si confondono fra gli altri. Parlano con gli imprenditori e chiedono una possibilità di reinserimento. È stato dato un senso e significato concreto alla parola inclusione: dalla galera alla società, non come ex galeotti ma cittadini a tutti gli effetti. Una rete di solidarietà tale da reinventare l’idea di carcere.
Ospiti della serata, nove detenuti. Preferiscono mantenere l’anonimato.Nomi fittizi, storie vere.
C’è Frank, albanese, falegname e poliglotta, conosce ben cinque lingue, non fa altro che sorridere. Regala un “tazzeri” alle associazioni presenti. Il manufatto è stato realizzato da lui ed altri detenuti nella falegnameria del carcere. Su di esso, le coste sarde finemente intagliate. La scritta incisa a fuoco è in italiano ma lui la legge nella sua lingua madre, la gente applaude.
C’è Mario, napoletano, la sua storia è ancora più toccante. Rinchiuso in carceri di massima sicurezza, deve scontare l’ergastolo. È un uomo timido e composto. Da Voghera a Nuoro, la sua finestra sul mondo ha avuto le sbarre per 24 anni. Oggi le sue prime 5 ore e mezza di libertà. Quando sente la parola rieducazione s’irrigidisce e scuote la testa. «L’educazione l’avevo, se così si può dire. Certo, quando sei giovane, con una famiglia particolare alle spalle, un gruppo di amici sbagliato e non sai dire di no, tutto sfugge al tuo controllo. Ora sono diverso. Ho portato avanti un cammino spirituale e di crescita. Ho studiato molto, mi son diplomato ed ho letto libri su libri. Oggi sto bene, perlomeno con me stesso».
Francesco. Il più giovane. Nuorese. Dentro dal 2008 per spaccio di sostanze stupefacenti. Due accumuli di pena, in tutto 13 anni da scontare. Da novembre ha ottenuto i suoi primi permessi e quando parla della libertà assaporata gli s’illuminano gli occhi. In carcere passa le mattine nei laboratori, parla di Frank: «è il mio maestro”. Frank quindi non è solo poliglotta ed albanese ma è anche insegnante, maestro di vita per un ragazzo di Nuoro che impegna le sue giornate leggendo e intagliando il legno. «La cosa peggiore in carcere è il tempo. Non passa mai –continua Francesco- ci sono persone che si lasciano andare e passano le ore guardando il soffitto della cella. Io no. Ho reagito. Oggi posso dire di essere più forte di prima».
Storie che si assomigliano, metafora l’una dell’altra. La serata termina con un auspicio: che questo piccolo passo verso l’inclusione sociale di ex detenuti diventi un lungo cammino di perseveranza e traguardi raggiunti.
Roberta Pirisi
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